Apprendere di essere stato creato “cardinale di Santa Romana Chiesa” dalla televisione, mentre sei a casa di amici pronto a sederti a tavola.

Monsignor Arrigo Miglio, arcivescovo emerito di Cagliari, 80 anni il 18 luglio, ancora oggi manifesta tutta la sorpresa vissuta nella tarda mattinata del 29 maggio scorso. Tra i 21 nuovi cardinali che papa Francesco annuncia al termine del “Regina Coeli” c’era anche il suo nome.

Si aspettava questa nomina?

«Ma no, nella maniera più assoluta. Ero a Cagliari, avevo celebrato le Cresime nella parrocchia di Bonaria, ho finito alle 11,30 quindi ho salutato monsignor Baturi e poi sono andato a pranzo da amici. Mentre preparavano, abbiamo acceso la tv per seguire l’Angelus del Papa. Tutti ci aspettavamo parole sulla guerra in Ucraina, sulla pace. E poi è successo quello che è successo ma io non ne sapevo nulla».

Qual è stata la sua prima reazione?

«Ho subito pensato di aver capito male. Poi abbiamo rivisto la registrazione intera dell’Angelus e, sì, in effetti mi chiamo proprio così. Ero proprio io. È stato autentico choc perché era l’ultima cosa che immaginavo».

Questo ottavo Concistoro era atteso da tempo ma pochi si aspettavano un anticipo di tre mesi rispetto al 27 agosto quando papa Francesco creerà 21 nuovi cardinali, di cui 16 “elettori” in un futuro Conclave. Cinque saranno le nuove porpore italiane, di cui due con diritto di voto.

Cosa cambierà nella sua vita con la berretta cardinalizia?

«Ancora non lo so anche perché c’è questo limite degli ottant’anni che non vale solo per un futuro Conclave, ma anche per altri eventuali incarichi. Nella mia agenda ci sono tanti impegni che sono soprattutto di predicazione di Esercizi spirituali, ed è il tipo di servizio e di ministero che mi è un po’ più congeniale. Poi onestamente non so se mi chiederanno altro».

Si sente cardinale della Chiesa di Sardegna?

«Direi proprio di sì. Perché in questa terra ci sono le due diocesi che ho servito (Iglesias, dal 1992 al 1999, e Cagliari, dal 2012 al 2019), in cui sono rimasti molti più legami che non con il Piemonte, dove comunque le radici restano. Non oso dirmi e definirmi “sardo”, sarebbe forse presuntuoso. Certamente, e lo ribadisco sempre, mi sento “adottato” da voi».

Un legame con la Chiesa sarda, e di Cagliari in particolare, rafforzato dalla recente nomina di monsignor Baturi a segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana. Come legge questa nomina, cosa rappresenta per la Sardegna, per la diocesi cagliaritana?

«È una nomina della massima importanza. Perché su quel tavolo finiscono e convergono un po’ tutti i problemi della Chiesa italiana: personalmente ho avuto a che fare con la Segreteria nazionale quando mi sono occupato delle “Settimane sociali”. Mi sono reso conto che tutto fa capo al segretario: una struttura che, al di là della sua dimensione “aziendale” ha il compito di mantenere i contatti con tutti i Vescovi italiani. Prestigio, indubbiamente, ma anche tanto lavoro. Ma la scelta è caduta su una persona che è già stata lì per 8-9 anni, conosce benissimo la “macchina organizzativa”».

Cardinale “sardo” con sguardo attento a quelle belle figure per le quali è iniziato il cammino verso la gloria degli altari, alcune a lei particolarmente vicine…

«Sono i santi “giovani” quelli che oggi mi sembrano più importanti e quindi più vicini anche alle generazioni ultime. Io ho seguito la fase diocesana di Simona Tronci, ho contribuito ad avviare il cammino che riguarda don Antonio Loi di Decimoputzu, fin dalla mia prima esperienza episcopale a Iglesias (perché era prete incardinato in quella diocesi), una bella figura di sacerdote, giovane, che non ha potuto esercitare il ministero a causa della malattia. E poi come non ricordare suor Teresa Tambelli, frequentando l’asilo della Marina e il gruppo dei “marianelli”: mi sono reso conto dell’incidenza, prima della Beata Giuseppina Nicoli poi di suor Teresa, nel tessuto sociale di Cagliari ed è ancora oggi la grande ricchezza che le suore Vincenziane stanno vivendo».

E poi c’è ancora l’attesa di vedere santo il Beato Fra Nicola da Gesturi. Da cardinale può dare il suo contributo a vedere questa canonizzazione, attesa da tutta la Sardegna?

«Se dovessi avere la possibilità di collaborare in qualche modo, lo farò molto volentieri. Io spero che questo processo possa risolversi in maniera positiva, quanto prima. Povertà e immersione in mezzo alla gente restano i carismi di quest’ordine religioso che, da Ignazio da Laconi sino ai giorni nostri, ha saputo garantire un passaggio di testimone, una “staffetta” di fede che ci fa solo ben sperare».

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