Li chiamano “poligoni”, come quelli militari. Qui, però, non sparano, scavano. Lo fanno da anni, da almeno sedici, secondo le mappe dei veleni di Macchiareddu. In questo documento, catalogato al Ministero dell’Ambiente come tavola 8, progetto di variante della bonifica dell’Isola 5, c’è di tutto e di più. Ci sono la storia, i segreti e i misteri racchiusi in quel fazzoletto di 4 ettari di terra malsana, blindati come se non ci fosse un domani dentro il muro di Alcatraz, quello che circonda il petrolchimico del cloro-soda, l’ultimo avamposto dell’Eni in Sardegna. Secondo i report interni dell’ente di Stato la bonifica si sarebbe dovuta concludere con la fine del secondo anno della pandemia. Della chiusura del cantiere, vietato ad occhi indiscreti, invece, non c’è traccia nelle carte ufficiali. Gli ultimi atti, quelli della variante in corso d’opera, sono, però, i più imbarazzanti. La scansione temporale è quella di uno scambio di missive a dir poco surreale tra il Ministero dell’Ambiente e i vertici dell’Eni. In ballo c’è quello che sta avvenendo dentro il perimetro dello stabilimento di Macchiareddu.

Bonificatori di Stato

I bonificatori di Stato vogliono chiudere la partita il prima possibile. Segnalano agli uffici di Roma delle “anomalie” nel terreno, con materiali da sottoporre ad ulteriore bonifica. Peccato che se ne siano accorti a fine bonifiche, quando dichiarano di aver concluso il 93% delle attività programmate per restituire a miglior vita quei terreni. Il dicastero preposto non ci sta a chiudere la partita del “nuovo inquinamento” come un “modesto” scostamento rispetto all’originario progetto di bonifica. E’ per questo motivo che “ordina” una vera e propria “variante” da sancire con tanto di approvazione ufficiale, giusto per lasciare traccia di quel che sta accadendo dentro il campo di concentramento dei veleni. I documenti presentati a novembre del 2021, però, sono un campo minato, dove ogni affermazione sulle nuove “scoperte” di veleni fa saltare per aria quanto scritto nel progetto di bonifica approvato con tutti i crismi, prima, provvisoriamente, nel 2016 e poi, definitivamente, nell’aprile del 2019.

Il “giallo” nella mappa

Nella mappa che pubblichiamo, la tavola 8, imperversa il giallo. La legenda recita: poligoni con presenza di rifiuto interrato. Il primo riscontro è sulla superficie: si passa dai 27.000 metri quadri della bonifica approvata nel 2019 ai 40.000 proposti per la variante in corso d’opera alla fine del 2021. Basterebbe questo incremento così rilevante per aprire un capitolo sulla “veridicità” delle analisi messe alla base del progetto di bonifica sottoposto all’approvazione del Ministero dell’ambiente. Ma c’è di più nella mappa che pubblichiamo: in tutti i poligoni indagati e segnati in giallo è indicato il tipo di campionamento eseguito in quell’area nel 2006, nel 2008 e nel 2009. Il 90% di quelle aree era stato sottoposto a sondaggi, sondaggi esplorativi integrativi, sondaggi corti e profondi.

280 scavi a vuoto

La maggior parte delle verifiche risultano essere state fatte negli anni richiamati con scavi di profondità variabili dai 4,5 metri sino ai 50 metri. Sono i dettagli di quelle indagini, in un’area di 47.000 metri quadri, che lasciano senza parole: nel 2006 sono state eseguite perforazioni per 24 sondaggi geognostici, nel 2008 147 scavi esplorativi e nel 2009 indagini integrative per la mappatura del rifiuto con perforazioni per 53 sondaggi geognostici, oltre a 57 scavi esplorativi. In pratica 281 tra scavi e sondaggi. Nessuno, però, si era accorto di quell’inquinamento scoperto solo a fine del 2020, per caso. Lo sconcerto è mitigato dalle parole d’ufficio riportate nel progetto di variante: «L’aspetto più rilevante emerge durante la fase esecutiva della bonifica, ivi comprese le indagini sopra descritte - e non previsto dal Piano di Bonifica originario - è stato il ritrovamento, tra i rifiuti interrati, di frammenti di materiali contenenti amianto e di terreni frammisti a tali frammenti».

5.000 tonnellate

Non minuzie, ma la bellezza di 5.000 tonnellate di terreni pieni di amianto. Il racconto della “Caporetto” della “caratterizzazione” ambientale è scandito dal progetto di variante presentato dall’Eni a sanatoria: «Nel corso di tali attività sono stati prelevati campioni di terreno potenzialmente riutilizzabile per i rinterri (secondo le previsioni del Piano di Bonifica approvato), che sono stati sottoposti ad analisi per verificarne l’effettiva possibilità di recupero. Su 74 campioni sottoposti ad analisi (verifica del rispetto dei valori limite) 15 sono risultati conformi ai limiti citati (20%), mentre n. 59 sono risultati non conformi (80%)». Insomma, una cantonata, senza se e senza ma. Si tratta di un ingiustificabile errore nel piano di analisi messo alla base del progetto di bonifica? Di certo siamo dinanzi ad una sequenza di fatti tutti da spiegare, non solo nella tempistica, ma anche nelle modalità esecutive. Un “misfatto” costato caro. Secondo i dati a nostra disposizione, per la bonifica di quell’area, minima ma esemplificativa rispetto all’intero comparto Eni e di Macchiareddu, l’Eni Rewind aveva programmato di spendere la bellezza di 20,6 milioni di euro per appena 47 mila metri quadri. L’errore, se così lo si vuole definire, ha portato ad un incremento spaventoso dei costi, con una maggiorazione del 40%, raggiungendo una cifra di 32,75 milioni di euro. Non una semplice variante, ma un salasso vero e proprio. Quel che non torna, però, è un dettaglio di non poco conto. In quelle stesse aree sono state riscontrate, con le analisi che hanno “saltato” l’amianto, sostanze indicibili, capaci di “stendere” per sempre chiunque. Nei vari “poligoni” di bonifica, quelli dell’Isola 5, sono stati accertati valori impressionanti su varie sostanze pericolosissime: in alcuni quadranti di carotaggio sono stati accertati 2700 milligrammi di Idrocarburi C ogni chilogrammo, contro un valore di legge di 250, per non parlare del Mercurio, con valori di 70 milligrammi contro i 5 previsti dal decreto ambientale.

Deposito Costiero

Da questo capitolo al versante del “Deposito Costiero” il passo è breve. Anche in questo caso la variante proposta dall’Eni è l’approdo per tentare il rimedio ad una situazione che sul campo è molto più inquietante delle carte originarie. In questa partita, però, l’area diventa vastissima. Siamo all’incrocio tra la SS.195 verso Pula e la principale direttrice di Macchiareddu, in asse con il pontile intersecato sulla rotonda industriale, quella devastata dal tanfo della vicina piattaforma rifiuti del Cacip. L’ennesimo campo minato della zona industriale. La rete arancione è il segno eloquente delle aree sotto scacco dei veleni. Nelle infinite perdite di tempo che hanno scandito e scandiscono la partita delle bonifiche a ridosso delle saline di Santa Gilla, l’approvazione della variante proposta dall’Eni è ancora una vicenda in alto mare. L’ultimo passaggio agli atti è una videoconferenza. Il verbale è datato 14 novembre scorso. Il varo della variante, con tante prescrizioni, sarebbe dovuta essere imminente, anche se il progetto, quello originariamente approvato, risale al 31 agosto del 2017. Lo scontro agli atti, però, è eloquente. La dilazione dei tempi questa volta è scandita dalla richiesta di spostamento dell’impianto di trattamento delle acque di falda rispetto al progetto originario. L’Eni non ci sta: le prescrizioni non sono accettabili. Le contesta alla radice, a partire dalle analisi che il Ministero vorrebbe imporre per i limiti allo scarico. Arrivano persino a dichiarare: «Non è proprio possibile eseguire il monitoraggio in uscita all’impianto di trattamento delle acque di falda per ciascun flusso in ingresso». Lo scontro è anche sugli Ipa, gli idrocarburi aromatici policiclici. L’Eni sostiene che quei valori devono essere esclusi dal monitoraggio. Il Ministero rinvia. Sulle bonifiche a due passi dalle saline è ancora tempo di misteri, dimenticanze e rinvii. Per l’inquinamento di Macchiareddu e dintorni non c’è fretta.

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