E’ una storia tanto antica quanto surreale. Combattuta a suon di editti e chiudende, di Feudi e Marchesati, con tanto di Re e feudatari. Il caso sardo degli Usi Civici è molto di più di una vicenda amministrativa, tradotta dalla Regione sarda in un moderno “editto”, a firma dell’assessorato regionale dell’Agricoltura, con il quale, nel 2005, si riaffermava il vincolo “medioevale” su gran parte dei terreni di almeno 160 comuni della Sardegna. Le carte narrano di contenziosi secolari, civili e penali, con liti non solo tra singoli, ma anche tra comunità contrapposte per la contesa terriera di confine.

Faide e usurpazioni

Dalle faide all’usurpazione di quei pascoli, con la legge del più forte che impone in ogni modo l’uso prepotente e unilaterale di quelle terre. Un bene di fatto indefinito, di tutti e di nessuno, accaparrato il più delle volte con le buone o le cattive maniere. Quanto questo contenzioso appartenga sempre più al Medioevo lo si percepisce dalle memorie presentate contro il ricorso del Comune di Villasimius.

658 anni fa

Se l’amministrazione comunale aveva ripercorso la vicenda di quei terreni partendo dal Diploma dell’otto novembre 1504 del Re di Spagna sino ai giorni nostri, la minoranza consiliare si è spinta ancora più in là richiamando l’atto con il quale i terreni dell’allora Carbonara, l’attuale Villasimius, sarebbero stati infeudati da Pietro Quarto d’Aragona in favore di Berengario Secondo Carroz nientemeno che il 18 luglio del 1363. La bellezza di 658 anni fa. Un dato è certo: ieri mattina la Regione Sarda non si è presentata all’appuntamento con la storia.

Diserzione

L’amministrazione regionale diserta, senza motivo pubblico, la prima “udienza” del “processo” intentato dal Comune di Villasimius contro quella determinazione del 24 febbraio 2005 dell’assessorato regionale dell’Agricoltura con la quale si riaffermano nel comune rivierasco gli Usi Civici su centinaia e centinaia di ettari di terreni. Regione, dunque, assente ingiustificata, non si sa quanto per scelta o per macroscopica dimenticanza. Il giudice Paolo Corso, commissario sardo per gli Usi Civici, ieri mattina negli uffici di via Pessagno, si è trovato davanti solo il Comune di Villasimius, rappresentato dai legali Stefano Ballero e Edoardo Spinas e l’opposizione in Consiglio comunale delegata all’avvocato Carlo Augusto Melis. Il banco della Regione, invece, vuoto. Il rischio di trasformare il contenzioso in un campo di battaglia politico ha indotto il magistrato a rinviare tutto al 28 gennaio prossimo per dare il tempo agli inquilini di viale Trento di ripensarci o di porre rimedio alla clamorosa falla.

Smemorati o lungimiranti

Non tutti credono alla tesi della dimenticanza: troppo grossa la partita perché l’area legale della Regione possa essersi dimenticata di costituirsi su un ricorso che tutti sanno essere un vero e proprio atto giudiziario “pilota” in grado di scardinare il provvedimento regionale con il quale gli Usi Civici sono stati di colpo resuscitati.

Tre ipotesi

Tre sono le ipotesi che possono spiegare il “giallo” di questa assenza tanto clamorosa quanto ingiustificata: è stata una scelta politica legata alle possibili conseguenze sul mantenimento di quell’atto che riafferma gli Usi Civici, una valutazione sulla possibile revoca in sede di autotutela di quel provvedimento del 2005 oppure, e sarebbe la più deprecabile, una dimenticanza da parte degli uffici. Di certo la scelta politica di non costituirsi sarebbe la più meditata, proprio perché le conseguenze di quell’atto regionale sarebbero tanto pesanti quanto insostenibili.

Tutti in hotel

Basti un semplice riferimento a cosa accadrebbe se il Commissario degli Usi Civici dovesse ritenere corretta quella disposizione ricognitiva, e impositiva, dell’assessorato regionale dell’Agricoltura. Gli hotel a 5 stelle, costruiti anche 50 anni fa in quei terreni, tra Notteri e Campulongu, (cerchiati nella foto) venduti dal Comune di Villasimius con tanto di atti di cessione, se fosse corretta la contestata determinazione regionale, sarebbero appannaggio di ogni singolo cittadino di Villasimius. I “cives”, così sono codificati i cittadini fruitori del bene civico, potrebbero disporne a loro piacimento proprio perché edificati su un terreno che la Regione continua a ritenere gravato da Uso Civico e come tale non cedibile. Del resto il Comune di Villasimius aveva inizialmente dato l’incarico ai propri legali per avviare le procedure per attuare la determinazione regionale, ovvero “cacciare” via da quelle terre i proprietari delle lottizzazioni, delle residenze, degli hotel e riacquisirle all’uso civico. Sono stati i legali a far riflettere l’amministrazione comunale sulle conseguenze facendo rilevare l’insussistenza di quegli “Usi Civici” superati, secondo il ricorso, da norme puntuali e di valenza generale.

Il viatico

Il fatto che la Regione non si sia costituita per scelta potrebbe essere anche il viatico perché il Commissario regionale degli Usi Civici, il magistrato Paolo Corso, possa decidere di disapplicare quella determinazione regionale, chiudendo senza ulteriori contenziosi questa vicenda. Sarebbe la strada più semplice anche per non assumersi l’onere di una revoca in sede di autotutela di quell’atto regionale, ipotesi quest’ultima che la Regione ha già formalmente scartato, anche se non l’ha ancora comunicata al Comune di Villasimius che l’aveva chiesta espressamente.

Chi pagherebbe i danni

Se la Regione, invece, dovesse insistere con l’Uso Civico, anche se il quadro politico è cambiato rispetto al 2005, il Comune rivierasco si accingerebbe ad attribuire i danni conseguenti proprio all’ente regionale visto che l’onere della “riacquisizione” e “demolizione” di hotel e lottizzazioni, ville e urbanizzazioni comporterà non solo il costo del valore dei beni, ma anche il mancato reddito con un sicuro colpo letale allo sviluppo turistico dell’intero territorio. In questa contesa il Comune di Villasimius, che rivendica quei terreni come esenti da decenni, se non secoli, da Usi Civici, ha dalla sua una marea di atti che inchiodano la Regione.

Nulla osta regionale

Il documento che pubblichiamo, a destra nella foto, è uno dei tanti nulla osta dell’amministrazione regionale alla vendita di quei terreni, ritenuti privi di qualsiasi vincolo e in piena proprietà al Comune. Un documento del 1963 con il quale l’assessorato agli enti locali, attraverso il Comitato di Controllo, restituiva il contratto di uno di quei terreni con tanto di via libera. Una vendita di terreni che nessuno ha mai impugnato. Atti che si sono compiuti tra un ente locale, il Comune di Villasimius, e tanti privati cittadini che avevano anche l’obbligo, scritto, di utilizzarli per “edificare” la propria casa. Compravendite con tanto di notai e nulla osta della Regione, allora organo di controllo degli atti delle amministrazioni locali. Rimettere tutto in discussione significa azzerare secoli di storia giuridica, con danni incalcolabili, se è vero, come è vero, che il caso di Villasimius è la punta di un iceberg che rischia di bloccare in tutta l’Isola lo sviluppo e la stessa tutela ambientale con un contenzioso “medioevale” che si scontra con la realtà dei fatti e degli atti della storia e non solo.

Referendum

La memoria delle opposizioni consiliari presentata stamane al Giudice, contrapposte al ricorso del Comune di Villasimius, propongono la nomina di una speciale rappresentanza dei cittadini in base a un Regio decreto del 1928. Come dire, facciamo decidere i titolari dell’Uso Civico. In un colpo solo, si cancellerebbe un secolo di diritto civile, azzerando atti legittimi sottoposti ad un giudizio che finirebbe per trasformarsi in una guerra senza precedenti. Il referendum sarebbe esplicito: vuoi che gli alberghi, le lottizzazioni, le urbanizzazioni diventino di proprietà dei cittadini e vengano cacciati i privati che li avevano acquistati e costruiti? Se, ipoteticamente, vincesse il Sì, il giorno dopo il comune di Villasimius sarebbe costretto al fallimento.

Ritorno al Medioevo

Il danno che si arrecherebbe al tessuto economico e occupazionale del Comune sarebbe incalcolabile. Cautelativamente i conti parlano di mezzo miliardo, ovvero 500 milioni di euro, di danni arrecabili ai proprietari degli alberghi e delle residenze. Alla fine, comunque, pagherebbero i cittadini, assestando un colpo letale al decreto 1584 dell’11 luglio 1853 (a sinistra nella foto) con il quale si trasformava la borgata di Carbonara in Comune. Insomma, si ritornerebbe al Medioevo, nonostante il terzo millennio.

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