Gli avvocati lo chiamano combinato disposto. Puntini da unire, provvedimenti apparentemente lontani, autorizzazioni concesse nei sobborghi della burocrazia più recondita. Anonime e silenziose operazioni d’alto bordo, sparse qua e là, che, se unite, si fanno scacchiere d’affari in mare e terra di Sardegna. Le mosse sono precluse ai più, costruite come tasselli di un puzzle che rischia giorno dopo giorno di trasformarsi in vile agguato al paesaggio e al futuro della Sardegna.

Tavola rotonda

Una grande tavola rotonda, europea e mondiale, apparecchiata dalle lobby energetiche, costellata da interessi piccoli e domestici, tutti protesi al disegno finale: colonizzare energeticamente la terra dei Nuraghi, farne un’immensa piattaforma per soddisfare i parametri imposti dall’Europa da scaricare nei paesaggi nuragici e naturalistici dell’Isola, consentire alle multinazionali di guadagnare a piene mani copiosi incentivi da far pagare attraverso le bollette dei sardi e non solo. In Sardegna da ormai tre anni, con incessante pervicacia e spregiudicatezza, si presentano ogni genere di progetti eolici e solari, foreste amazzoniche di pale eoliche alte come grattacieli da 70 piani da conficcare nei luoghi più iconici di questa terra, distese infinite di pannelli fotovoltaici pronti a cancellare agricoltura e pastorizia in cambio di elemosine e incentivi senza fine. La resistenza all’assalto nel frattempo, però, si è fatta sempre più incisiva, con Sindaci determinati che hanno rinunciato a qualche prebenda spacciata per “compensazione” offerta in cambio di paesaggio e futuro.

Roma incombe

Ora, però, da Roma arrivano segnali incombenti che lasciano presagire il rischio di una spallata in grado di mettere la Sardegna al muro. Il primo tentativo è saltato per aria durante l’ultima seduta notturna, alle quattro del mattino, della commissione bilancio del Senato della Repubblica quando, a nome della maggioranza, i relatori del decreto Sud, hanno proposto un emendamento che dichiarava un obiettivo da golpe di Stato: militarizzare tutti i progetti energetici anche al di fuori dei poligoni, trasformando in servitù militare un parco eolico da piazzare in mezzo al Gennargentu o la Marmilla nuragica. Blitz saltato per la reazione delle opposizioni. Un’avvisaglia nitida dei piani sotterranei che marciano nel sottobosco delle istituzioni. Ultima mossa di Stato quarantotto ore fa con il varo del decreto energia. Un provvedimento che impone un’accelerazione sul versante dell’eolico a mare. L’articolo nove del provvedimento esaminato e varato dal Consiglio dei Ministri è esplicito: «Misure per lo sviluppo di un polo strategico per l’eolico galleggiante in mare». Il dispositivo si ammanta, come fosse un generoso «regalo», di un plateale quanto surreale interesse per il sud d’Italia. In realtà punta a scaricare nel Mezzogiorno, preferibilmente nelle isole, l’onere della devastazione paesaggistica, quella che non vogliono nelle Alpi e nell’Appennino, che disdegnano nelle colline toscane, avversano nella Pianura Padana. Il comma uno è l’apoteosi della "generosità” statale: «Al fine di sostenere gli investimenti infrastrutturali nelle aree del Mezzogiorno, mediante la costituzione di un polo strategico per l’eolico galleggiante in mare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, con decreto del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentite le regioni interessate, sono individuate, nel Mezzogiorno del Paese, due aree demaniali marittime con il relativo specchio acqueo antistante entro il limite delle acque territoriali, da destinare alla cantieristica navale». Un richiamo che si concretizza con denari a gogò per coloro che puntano a costruire impianti eolici e piattaforme eoliche galleggianti da piazzare fronte mare a quegli insediamenti. Lo scrivono apertis verbis: «venti milioni di euro per l’anno 2024, 110 milioni di euro per l’anno 2025 e 170 milioni di euro per l’anno 2026, per la realizzazione, nelle aree individuate ai sensi del comma 1, di infrastrutture volte ad assicurare l’autonomia energetica nazionale, mediante investimenti in cantieristica navale per la produzione di piattaforme galleggianti e di infrastrutture energetiche funzionali, l’assemblaggio e il varo delle piattaforme medesime e per l’installazione di impianti di produzione di energia eolica in mare». È qui che scatta il combinato disposto. Da almeno sei mesi, come se un sussurro preventivo si fosse affacciato sulle banchine dei porti sardi, si registrano autorizzazioni, concessioni e operazioni eoliche che rischiano di mettere la Sardegna davanti al fatto compiuto dando al Governo un assist devastante per il futuro dell’Isola. Le mosse sotto osservazione sono almeno due, una riguarda il porto di Arbatax e l’altra quello che vede come baricentro quello che fu il Porto Canale di Cagliari, ridotto sempre di più ad uno “spezzatino” di interessi, che ne hanno fatto perdere, pezzo dopo pezzo, la funzione strategica e rilevante nel Mediterraneo. Partiamo dal Porto Canale di Cagliari. Due giorni dopo ferragosto, come spesso capita nell’isola del mare, l’Autorità di Sistema portuale della Sardegna ha comunicato in pompa magna di aver autorizzato «una nuova e consistente attività imprenditoriale per la costruzione e la manutenzione di impianti industriali negli spazi della Zona Economica Speciale e della Zona Franca Doganale interclusa del Porto Canale di Cagliari». In realtà, senza mezzi termini, il piano d’azione della nuova concessione da ben 150 mila metri quadri, nel cuore del piazzale di quello che fu il terminal container Mediterraneo, ha come business dichiarato proprio quello dell’eolico off-shore. Una società, la Nuova Icom srl, con un socio residente in Venezuela, che dichiara di avere rapporti con la Saipem, la stessa società che due mesi fa ha fatto partire dal porto di Arbatax due piattaforme eoliche per la Scozia. Un’approvazione del progetto preceduta da una quantomeno irrituale autorizzazione ad occupare l’area del Porto canale rilasciata ancor prima della stessa concessione. Corse d’agosto che hanno scatenato una vera e propria guerra giudiziaria tra il Consorzio industriale, il Cacip, che ha deciso di impugnare l’intera operazione al Tar Sardegna.

Cacip in guerra

Le accuse sono circostanziate. La sintesi del ricorso del Consorzio è in pochi concetti chiave: avete dato quell’autorizzazione a costruire quel polo industriale dentro il Porto Canale senza avere il potere pianificatorio, stravolgendo le aree assegnate da un piano regolatore gerarchicamente superiore, deteriorando e cancellando il valore delle aree di proprietà del Consorzio industriale. Una mazzata per l’operazione d’agosto, visto che ora sarà il Tar a decidere se quelle autorizzazioni e concessioni sono nulle o meno, facendo scattare eventualmente danni e demolizioni. Una partita che non cela lo scontro latente per la gestione di quel compendio marittimo che da tempo fa gola alle lobby eoliche e energetiche, visto che nelle stesse aree è stato pianificato persino un gigantesco rigassificatore da piazzare alle porte di Cagliari.

Arbatax & intrecci

Una concessione che si intreccia con il Porto di Arbatax, non foss’altro per il ruolo della Saipem. La società, da sempre costola cantieristica dell’Eni in Ogliastra, ha recentemente varato due piattaforme eoliche galleggianti destinate alla Scozia. La Saipem, però, nel contempo, viene data in stretti rapporti con l’operazione cagliaritana, come emerge dagli stessi atti. Si tratta di capire se la multinazionale sta “giocando” su due porti o se alla fine si concentrerà su uno dei due. Nel frattempo ad Arbatax si ripresenta la “Green Port Italy”, l’ennesima società pugliese, che si candida a gestire le banchine ogliastrine. Dichiara di avere contratti a gogò per gestire e trasportare parchi eolici galleggianti, compreso uno, sconosciuto, davanti a Tortolì. L’Organismo di Partenariato ne ha bocciato l’arrivo per mancanza di presupposti. L’Autorità portuale, nonostante sia stata annunciata l’archiviazione, nei giorni scorsi ha riaperto la procedura. Lo sbarco eolico off-shore nei porti sardi è, ormai, dietro l’angolo. Con il silenzio di molti. A Roma come a Cagliari il vento soffia forte.

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