Ho letto con attenzione le modifiche al Codice Penale introdotte dall’approvazione definitiva del DDL 1308. Mi permetto alcune osservazioni, con l’intento di contribuire a una lettura più ponderata di questo intervento normativo.

Il provvedimento si limita, in sostanza, a un inasprimento delle pene già previste per i reati contro gli animali (articoli 544-bis e seguenti del Codice Penale), oltre ad alcune specificazioni in materia di custodia degli animali sequestrati. A fronte della mole di emendamenti presentati in sede referente, la versione finale appare persino sobria: molte delle proposte più ideologiche sono state respinte, anche grazie al parere contrario espresso dal Governo.

Non condivido l’enfasi in particolare l’onorevole Brambilla e i firmatari dei comunicati stampa che hanno accompagnato l’approvazione definitiva del testo, sul presunto valore “storico” della modifica del titolo del Titolo IX-bis del Libro II del Codice Penale, che da “Dei delitti contro il sentimento per gli animali” diventa “Dei delitti contro gli animali”.

Si è trattato, con ogni evidenza, di un’operazione di razionalizzazione lessicale, una semplificazione che allinea la rubrica alla formulazione concreta delle fattispecie penali contenute nel titolo stesso. Attribuirvi il significato di un riconoscimento giuridico della “senzienza” animale è un’operazione retorica più che giuridica.

A questo proposito, è opportuno ricordare che il termine senzienza è la traduzione italiana del termine inglese sentience, utilizzato in ambito anglosassone per indicare la capacità di provare sensazioni soggettive, come il dolore o il piacere. Tuttavia, senzienza non è un concetto giuridico definito nel nostro ordinamento, né possiede una definizione univoca in ambito filosofico o scientifico. Alcuni filosofi (penso, ad esempio, a lavori in ambito di etica ambientale) ne propongono addirittura l’estensione alle piante, il che dimostra quanto il concetto sia scivoloso e suscettibile di interpretazioni divergenti.

Chi conosce il Codice Penale dovrebbe sapere che esistono reati “contro” soggetti del tutto privi di ogni forma di coscienza o sensibilità: basti pensare ai reati contro i beni culturali, contro il patrimonio, contro la pubblica amministrazione o contro la sicurezza dello Stato. Nessuno si sognerebbe di attribuire a tali “beni giuridici” qualità senzienti. Per questo motivo, leggere nella nuova rubrica un riconoscimento ontologico della soggettività animale è un evidente eccesso interpretativo.

La vera sfida, oggi, non è lessicale né simbolica. È etica, culturale e normativa. Passa attraverso una riflessione seria sui nostri doveri verso gli animali, doveri che possono e devono essere assunti anche in assenza di una loro soggettivizzazione giuridica piena. Parlare di diritti degli animali, senza definire chiaramente né il soggetto né l’ambito applicativo, rischia di produrre più confusione che progresso.

Chiudo con una nota solo apparentemente ironica: il primo magistrato che deciderà di processare una ditta di derattizzazione o disinfestazione da blatte farà davvero giurisprudenza. E a quel punto sarà chiaro che la strada della “soggettività” animale rischia di generare effetti giuridicamente impraticabili.

Giuseppe Pulina

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