Si moltiplicano ormai da giorni le perquisizioni a tappeto della Direzione distrettuale antimafia a Santa Teresa e in altri centri costieri della Gallura. Gli investigatori della Polizia sono a caccia della rete di complici che, subito dopo la rocambolesca fuga dal carcere nuorese di Badu ’e Carros, hanno permesso al boss del Gargano, Marco Raduano, di attraversare il mare e raggiungere la Corsica, dov’è stato catturato due settimane fa dai carabinieri del Ros.

Il 41enne, rimasto latitante per quasi un anno, è stato estradato nei giorni scorsi e rinchiuso nel carcere de L’Aquila, in regime di 41bis. Il boss si trova nello stesso carcere che fu di Matteo Messina Denaro, ritenuto uno degli istituti per l’alta sicurezza più inviolabili d’Italia. Era scappato dal carcere nuorese il 24 febbraio 2023, calandosi con un lenzuolo intrecciato e poi svanendo nel nulla sino a quando non è stato rintracciato nella cittadina di Aleria, in Corsica, dove probabilmente ha trascorso la maggior parte del tempo della latitanza, dopo un periodo iniziale trascorso in Sardegna. Da subito, però, gli investigatori della Polizia (ci lavorano la Sisco, la Sezione investigativa del Servizio centrale operativo, e la Squadra Mobile di Nuoro) e quelli del Nucleo investigativo centrale della Polizia penitenziaria, hanno iniziato a indagare sulla spettacolare fuga da Badu ’e Carros e sui complici che hanno aiutato il boss.

L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia avrebbe già accertato che in carcere Raduano sia stato aiutato da un altro detenuto che aveva accesso all’officina del penitenziario, un luogo dotato di attrezzi per la lavorazione dei metalli. Il presunto complice avrebbe misurato la larghezza del muro di cinta, costruendo sia i ganci che la biscaglina usati per arrampicarsi dalla parte interna. Per calarsi dall'esterno, poi, sarebbe stata utilizzata una corda realizzata intrecciando un lenzuolo. All’esterno ad attenderlo ci sarebbe stata un’auto, forse una berlina, che gli avrebbe permesso di lasciare il capoluogo e rifugiarsi in uno dei centri dell’entroterra. La Dda starebbe lavorando anche su presunte connivenze di alcune guardie carcerarie, mentre un’indagine amministrativa del Dap avrebbe fatto luce su una serie di errori e presunte negligenze.

Lo scorso 31 gennaio, quando è stato catturato, il boss del Gargano era in compagnia di una donna: è stato ammanettato in un ristorante, mentre si preparavano a cenare. Lavorando sulla fuga, gli investigatori dell’Antimafia hanno capito che l’evasione è stata frutto di un piano organizzato nei minimi dettagli, con complicità iniziali e persone che hanno favorito l'iniziale latitanza che si ritiene trascorsa, con molta probabilità, prima nell’entroterra sardo, poi nelle coste galluresi, in un centro di quelli che si affacciano sulla Corsica. D'altronde i legami tra le due isole in tema di latitanti sono ormai noti alla Dda: prima di Raduano anche Matteo Boe era stato catturato lì, ma era emerso che anche Quirico Carta, di Buddusò, era riuscito a rifugiarsi in terra corsa, rifacendosi una nuova vita al di sopra di ogni sospetto.

Da giorni, dunque, si susseguono le perquisizioni effettuate sia nelle province di Nuoro che in Gallura, dove sarebbero già stati acquisiti elementi utili per l'individuazione dei favoreggiatori. Sul punto i due magistrati della Dda di Cagliari titolari dell’inchiesta mantengono il più assoluto riserbo ma non si possono escludere sviluppi imminenti, anche in merito a soggetti che frequentemente si recano per lavoro in Corsica e potrebbero avere agevolato il trasferimento del latitante nell'isola francese. Una rete di professionisti che sarebbe attiva ormai da anni e che avrebbe garantito la fuga di svariati ricercati, ma che – come sarebbe già emerso in alcune indagini del passato – potrebbe essere stata sfruttata anche per portare in Sardegna armi e munizioni, poi utilizzate per commettere gravi crimini nell’Isola.

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