"L'appartenenza a un'isola nei suoi riflessi psicologici, morali e culturali". È la definizione estensiva di "insularità" sul Devoto-Oli, ispirata a Tomasi di Lampedusa. Dopo le pernacchie di Alitalia alla Regione e ai sardi, ce ne occupiamo su un altro fronte, quello della (mancata) continuità territoriale.

Insularità, infatti, è la parolina magica che vola di bocca in bocca tra i nostri politici. Peccato che dove si decide di noi (a Bruxelles e a Strasburgo) non abbiano orecchie per intendere.

Il presidente Francesco Pigliaru, con il sostegno dei colleghi di Corsica e Baleari, il mese scorso a Cagliari, colsero l'occasione del G7 dei Trasporti (già definito "fuffa" in questo spazio) per consegnare alla commissaria europea Violeta Bulc una garbatissima lettera. Più o meno diceva: nel caso non ve ne foste accorti, viviamo in mezzo al mare. Posti splendidi, sia chiaro, ma rispetto a chi sta ad Amburgo o ad Alessandropoli abbiamo un problemino grande quanto una fetta di Mediterraneo.

E allora, riconosceteci "lo stato di perifericità" (non si può sentire) insieme "alla condizione insulare". La signora Bulc, slovena di Lubiana, ha detto "sì, certo, ne parliamo". Ma fa pur sempre parte di quella grande famiglia - la Ue e il suo Parlamento - che un anno fa approvò una risoluzione degli eurodeputati sardo-siculi Salvatore Cicu e Michela Giuffrida che riconosceva la nostra condizione di insularità. È cambiato qualcosa? Pigliaru ha (persino) chiesto aiuto a Graziano Delrio, ministro di un Governo, il nostro, appena preso per i fondelli a Bruxelles sul dramma-migranti.

Il grande progressista Macron non solo inciucia con il populista Trump ma, come avrebbe fatto la nazionalista Marine Le Pen, caccia via chi, con la pelle scura, vorrebbe entrare in Francia. Insomma, su Roma non possiamo contare. Per avere più aerei e al prezzo giusto andiamo alla guerra, anche da soli.

"Il sonno è ciò che i siciliani vogliono", scriveva nel Gattopardo il già citato Tomasi di Lampedusa. Noi sardi no, giusto?
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