La campagna d'autunno di Tirrenia agita ancora il portafogli del passeggero. Mi ritorna in mente (cit) un brano del grande Piero Marras, datato 1980. "Se ci fosse un ponte da Cagliari a Roma - cantava Marras - non avrebbe senso, caro Caronte, doverti pregare per farci partire".

Sono trascorsi, da quel brano, 38 anni. Tirrenia è passata (nel 2011) dalle mani dello Stato a quelle dell'armatore di Moby Vincenzo Onorato. Ma con la privatizzazione della flotta pubblica nata a Napoli nel 1936 e cresciuta (sempre a Napoli) all'ombra di Finmare, Iri e Fintecna (leggi partecipazioni statali), poco è cambiato, almeno per le nostre tasche.

Sì, perché se le navi sono più pulite rispetto alle mitiche carrette, per saltare il Tirreno - noi sardi o chi vuole venire a muovere la nostra economia - spendiamo un'enormità, nonostante il contributo pubblico di 72 milioni e 685mila euro di "spiccioli". Un bonifico che ogni dodici mesi passa dalle casse dello Stato al bilancio di Tirrenia Cin (Compagnia italiana di navigazione) per farci viaggiare tutti i giorni dell'anno (ma pensa un po'), non solo d'estate.

Dovremmo pagare, noi sardi, in virtù della continuità territoriale, quanto chi si sposta in treno tra Reggio Calabria e Roma, ma la nostra classe politica (sì, la nostra, quella sarda), generazione dopo generazione, ha troppo spesso parlato molto e agito poco.

Per mettere fine al monopolio di Stato nel Mediterraneo (e nelle altre acque comunitarie), Bruxelles avviò nei primi anni Novanta un processo di liberalizzazione i cui frutti tardano ancora oggi a maturare. Anche perché se l'obiettivo di favorire la concorrenza e quindi l'offerta era l'abbassamento delle tariffe, è naufragato sul nascere.

Un esempio clamoroso fu quello dell'estate 2011. Tutte le compagnie, tradendo gli impegni presi (e sbandierati), aumentarono le tariffe, scatenando una doppia reazione della Giunta regionale. La prima si concretizzò con un ricorso all'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Iniziativa che qualche fondamento doveva avere, visto che due anni dopo l'Authority impose pesanti sanzioni alle compagnie: 5,46 milioni di euro per Moby, 2,37 per Gnv, 231 mila euro per Snav e, per Marinvest, 42 mila euro. Furono tuttavia il Tar prima e il Consiglio di Stato poi a smontare il quadro accusatorio. E le compagnie non sborsarono un euro di multa.

E Tirrenia? All'epoca impegnata nella privatizzazione, rimase fuori dal "processo" semplicemente perché non aumentò le tariffe. Non ne aveva bisogno: la pancia (allora sì, oggi evidentemente no) era già piena grazie agli aiuti di Stato.

In quell'estate 2011 l'altra reazione della Giunta regionale (presidente Ugo Cappellacci, assessore ai Trasporti Christian Solinas) fu il varo, attraverso la Saremar, della flotta sarda. Un tentativo sì economico, velleitario, certo, ma anche orgoglioso, di combattere il cartello dei mari. "Scintu" e "Dimonios" vennero affondate dai tecnocrati dell'Unione europea, che quantificarono una falla di 11 milioni di euro, le risorse messe in mare dalla Regione per far viaggiare nel Tirreno le due navi prese a noleggio.

Tuttavia, l'immagine della flotta sarda evoca oggi, accanto al danno contabile, una reazione vera, concreta, della nostra classe politica, davanti al potere incontrastato dei signori del mare. E torniamo alla campagna d'autunno di Tirrenia: tariffe su del 13,5%, ha scritto qualche giorno fa L'Unione Sarda. Tutto regolare, per carità. È proprio la convenzione con il ministero dei Trasporti (scadrà il 18 luglio 2020) a prevedere l'aggiornamento bimestrale delle tariffe, ancorato al tasso d'inflazione e al prezzo dei combustili. Poi, sicuro come il sole che sorge, per Tirrenia c'è l'assegno da 72 milioni e passa, giustificato, anche dai tecnocrati di stanza a Bruxelles, quale compensazione per un servizio pubblico garantito anche quando i passeggeri non fanno a spinte per arrivare o andar via dalla Sardegna.

L'ex presidente della Regione Mauro Pili, protagonista della petizione #bastatirrenia , che ha già raccolto decine di migliaia di adesioni, giusto mercoledì scorso parlava di "malloppo da 10 milioni di euro al mese", con il settore dell'autotrasporto, denuncia il leader di Unidos, messo in ginocchio dagli ultimi rincari.

Come cantava Piero Marras nell'anno del Signore 1980, "noi sardi, dannati, siamo colpevoli solo di esserci nati in questo paese avanzo d'Italia, colonia cortese che paga le spese". Sembra la foto della Sardegna di oggi.

Trentotto anni non sono bastati per farci cambiare rotta. Vergogna? Sì, per quel che serve, diciamolo: vergogna!
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