L’epidemia di coronavirus ha messo in luce non solo l’importanza della scienza, ma la sua forza nel mondo. Non che la forza della scienza fosse sconosciuta. Ma scienza e politica non comunicavano essendo la politica considerata un’arte nobile e la scienza una pratica alla continua ricerca e verifica di una nuova conoscenza e quindi apparentemente senza una visione da perseguire a lungo termine.

Ma due aspetti ne mostrano le altre differenze. Da un lato la scienza non accetta l’ignoranza, l’impreparazione su certi aspetti della scienza, della conoscenza. Dall’altro la politica intesa come arte si manifesta molto spesso con i caratteri di grande improvvisazione non per l’incompetenza su specifici argomenti, ma per l’incapacità di essere responsabili. Per responsabilità della politica in genere si intende avere una visione d’insieme delle cose, la capacità di mediare fra gli interessi privati e quello generale, la virtù di essere convincenti (?). Ed ancora la capacità e la coerenza nel realizzare gli obiettivi prefissati e promessi non appiattendo la propria azione sul consenso immediato. Pertanto la competenza tecnica e specifica su molti aspetti non ha importanza tanto che si arriva a farci credere che per fare il ministro della Salute non serve un medico. Ma è del tutto evidente però che un medico potrebbe ricoprire questa carica con più grande efficacia.

Se ci guardiamo attorno vediamo che non c’è nessuna scuola che prepari al mondo della politica e nessun meccanismo di formazione e selezione della classe politica. Del resto cosa dovrebbe essere, in estrema sintesi, l’etica della politica, se non ammettere ad esempio di non avere realizzato gli obbiettivi con i quali si è chiesta la fiducia degli elettori. E quindi farsi da parte per dimostrare che la politica non è un mestiere a vita.

La scienza ha un percorso di formazione strettamente correlato al raggiungimento di obbiettivi della conoscenza. La selezione è ferrea e non consente facilmente di barare. Se lo fai vieni messo ai margini. Nel mondo della politica si può navigare a vista, galleggiare, cambiare opinione a seconda delle convenienze e soprattutto far finta di aver raggiunto gli obbiettivi, realizzato le promesse elettorali. Se non le hai raggiunte è sempre colpa delle circostanze. Questo è quanto vediamo tutti i giorni e del quale si discute, ma i correttivi sono difficili da realizzare.

Se nella nostra regione si discute da 20 anni di riforma sanitaria è proprio per la bassa qualità di chi ci amministra. Qualcuno potrebbe avere dei dubbi? Lo spopolamento delle zone interne, accompagnato dalla bassa natalità e dall’idea che la scuola serve a poco, sarà anche perché non abbiamo amministratori all’altezza dei tempi. Proviamo a immaginare una storia diversa. Fissiamo arbitrariamente degli obbiettivi reali. Il problema cruciale dei paesi dell’interno è lo spopolamento. Chi si presenta alle elezioni dovrebbe avere un programma che abbia questo scopo o che almeno crei le opportunità perché lo spopolamento venga rallentato. Data la vastità del compito, se è presente un progetto coerente che ha bisogno di tempo lo monitoriamo. Ma se dopo due legislature il paese o i paesi hanno perso più del 20 per cento della popolazione non possiamo far finta di niente. Questi amministratori hanno fallito uno degli obbiettivi più importanti. Non dovrebbero essere più candidabili.

In un mondo che corre veloce le risposte ai problemi devono essere rapide. La distanza che ci separa da chi corre diventa incolmabile. Se ne è parlato tanto ma la demografia ci sta presentando un conto salato. I nostri paesi diventeranno nel giro di pochi decenni comunità di anziani ai quali dovremmo dare tutto il conforto e l’assistenza che meritano. Perciò per affrontare queste sfide servono nuove classi dirigenti scelte per le loro competenze.

Antonio Barracca
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