Sei ricoverati dall’inizio dell’anno, nove gli intossicati dal monossido di carbonio costretti a ricorrere alle terapie in camera iperbarica per liberarsi dal gas-assassino inalato in ambienti riscaldati con stufe, caminetti e bracieri e non sufficientemente arieggiati.
Numeri in forte crescita che rischiano di diventare emergenza. Erano stati infatti 11 gli intossicati trattati lo scorso anno nel centro dell’ospedale marino di viale Poetto, contro i tre del 2021 in piena pandemia e 17 nel 2020.
Il presidio del Marino è oggi l’unico a garantire i trattamenti in ossigeno iperbarico. La camera di La Maddalena non funziona per le emergenze da Co e l’impianto di Sassari, in fase di trasferimento, è temporaneamente fermo.
Stufe difettose, caldaie senza un’adeguata manutenzione, bracieri e caminetti accesi in luoghi non ventilati. Ci vuole davvero poco perché il monossido d’azoto, gas infido, metta in serio pericolo chi lo respira. 
«Il fenomeno è in crescita soprattutto perché troppo spesso i locali in cui vengono accesi caminetti o si utilizzano bracieri e stufe, magari anche difettose, sono ambienti poco ventilati», spiega l’anestesista e primario del centro iperbarico, Salvatore Murru. Gli ultimi interventi terapeutici hanno interessato un’intera famiglia. Ad avere la peggio è stata una donna di mezza età svenuta dopo aver inalato il monossido. L’ha salvata la nuora di 82 anni che ha compreso i rischi spalancando porte e finestre per garantire il ricambio dell’aria. «È un caso classico», racconta il Stefano Mancosu, medico anestesista del centro iperbarico. «Ciò che bisogna imparare per evitare gravi conseguenze in caso di inalazione di Co è che anche chi non avverte sintomi gravi deve sottoporsi a controlli adeguati ed eventualmente al trattamento in ossigeno iperbarico».

© Riproduzione riservata