"Meglio il carcere di quella casa", la storia di una cagliaritana ai domiciliari
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"Preferisco la mia vecchia cella nel carcere di Uta. Ritornare a casa, senza acqua e corrente elettrica, per me potrebbe voler dire morire. Per questo chiedo aiuto: una comunità, un'associazione, una casa albergo che mi accolga per scontare gli ultimi sei mesi ai domiciliari".
Donatella Manca ha 55 anni. Una vita difficile e ora si ritrova sola. Sei mesi fa è uscita dal carcere: il giudice le ha concesso i domiciliari in un'abitazione nella periferia cagliaritana grazie a un conoscente. Deve scontare ancora sei mesi. Ma quella casa in campagna non ha più acqua ed elettricità da settembre. "Mi sono ammalata e da quattro settimane sono in ospedale", racconta seduta su una panchina al secondo piano del Policlinico universitario di Monserrato. "Ora mi devono dimettere. E ho paura di ritornare in quella casa. Vorrei un'alternativa ma io, non avendo più nessuno, non saprei dove andare e a chi chiedere".
Nonostante l'enorme sofferenza, Donatella Manca nel raccontare la sua vita riesce anche a sorridere. Il suo carattere forte le ha impedito di precipitare nei tanti momenti bui che ha dovuto affrontare, scacciando anche strane idee. "I miei genitori, i miei dodici fratelli e sorelle, i miei tre figli sono tutti vivi. Eppure sono sola. Per colpa mia, lo so. Per aver scelto un uomo, secondo tutti quanti, sbagliato e per aver lasciato così mio marito, il padre dei miei tre figli. Da molti anni, a parte piccole e momentanee eccezioni, non ho più alcun rapporto con la mia famiglia".
Così, appena i medici le consegneranno il foglio delle dimissioni, Donatella Manca si troverà davanti a un dirupo. "Ho i domiciliari in quella casa, isolata e da tre mesi senza acqua ed elettricità. Ho due ore di permesso al giorno, ma la zona non è servita dai mezzi pubblici dunque non posso andare nemmeno a comprare il cibo per sopravvivere". Appena uscita dal carcere ha trascorso un mese in serenità: con lei c'era una coppia di conoscenti e non si sentiva sola. Poi i due sono andati via. È stato l'inizio del tracollo. "Non ho un medico, non potevo spostarmi per raggiungere un ufficio per un documento o per informarmi sulla diminuzione della mia pensione, da 290 euro a 210 perché in carcere facevo dei lavoretti e venivo pagata".
Soltanto qualche anima buona l'ha aiutata. "Un'amica mi portava dei bidoni d'acqua e un po' di cibo. Passava una volta ogni dieci giorni circa. Venivano a casa anche alcune volontarie. Poi sono stata male e sono finita in ospedale". Una liberazione solo momentanea perché adesso Donatella Manca dovrà ritornare in quell'abitazione.
Del suo caso si stanno occupando gli assistenti sociali di Cagliari e di Sinnai (il Comune in cui risulta residente la donna). "Sono cagliaritana", precisa. "Nata e cresciuta nel quartiere di Is Mirrionis. Insieme a mio marito ho poi vissuto in tanti altri rioni, da Mulinu Becciu a San Michele, passando anche da Pirri. Abbiamo dovuto fare i conti con il lavoro che non c'era: ci siamo trasferiti anche in Toscana, per poi ritornare in Sardegna".
Poi la vicenda che ha cambiato la sua vita: la fine del matrimonio e l'inizio di una nuova storia d'amore vista da tutta la sua famiglia come un tradimento imperdonabile. "Purtroppo ho commesso degli errori. Truffe con assegni a vuoto e poi l'aver dato una mano a una persona ricercata. Sono stata condannata, in tutto, a due anni e sei mesi. Sto finendo di pagare il mio conto con la giustizia. Vorrei poter quantomeno sopravvivere e tentare di iniziare una nuova vita, anche a 55 anni. Ma se non avrò alternative alla casa, quella indicata per scontare la custodia cautelare ai domiciliari, meglio ritornare in carcere. Almeno avrò cibo, acqua e corrente elettrica. Ho diverse patologie e ritornare in quell'abitazione significherebbe la morte".