Secondo il filosofo Ernst Cassirer, l'uomo è innanzitutto un produttore di segni, di cui fa uso per dare un senso, una sostanza e una direzione a se stesso e al mondo che misteriosamente lo circonda. Il segno principale è la lingua madre, attraverso la quale l'essere umano disegna non solo il suo percorso di conoscenza progressiva, e dunque anche il contenuto della sua memoria, ma lo stesso contesto della sua esistenza, gli oggetti e le possibili relazioni.

In altre parole, siccome il linguaggio ci serve per definire, qualificare e comprendere il mondo nel quale siamo capitati, il mondo stesso diviene in un certo senso funzione, o meglio un derivato della lingua che noi usiamo per rappresentarlo. Il mondo non è dunque un sistema oggettivo, ma un prodotto dell'animale "symbolicum" che è l'uomo.

Il concetto può essere meglio compreso se si considerano altri segni che l'essere umano produce: la musica, l'arte, la matematica, il mito. Cosa c'è di oggettivo nella musica se non un altro astratto sistema di segni riportati nel pentagramma? Eppure la musica è capace di creare un mondo, di scoperchiare ricordi, di accendere emozioni, di suscitare desideri, sogni, di invitare all'azione o di conciliare il sonno. Anche la musica è dunque uno strumento che, di fatto, conforma il nostro mondo. Infatti: che mondo sarebbe senza la musica, oppure accompagnato da una sola, tragica e infinita nota come quella dell'encefalogramma piatto?

Anche un numero è un astratto, un segno prodotto dall'uomo per indicare una comunanza tra due insiemi tra loro diversi. E un'intera disciplina, la matematica, è basata su astratti e sugli astratti esplode, si evolve, risolve. Essa è capace non solo di analizzare e comprendere il moto dei pianeti e i movimenti delle galassie, ma anche di stabilire e dunque creare una rotta, calcolare una trave, progettare un motore e assicurare una carta di credito.

M'interessa molto il mito, un concetto potentissimo che fa comparire una forza maligna, quella della manipolazione. Il mito è infatti un simbolo privilegiato e trascendente capace di polarizzare le aspirazioni di una comunità o di un'epoca, ma è anche l'idealizzazione di un fatto (realmente avvenuto oppure immaginato).

La lingua madre, la matematica e la musica sono doni di Dio. Il mito apre invece la porta al diavolo giacché è una narrazione con un fine che presuppone un narratore con uno scopo. Se l'obiettivo sia buono o cattivo, questo sarà poi solo la storia a dirlo, tenendo conto che i miti possono però durare per secoli o millenni.

Lo sviluppo delle grandi civiltà è fortemente basato su miti (ad esempio quello dell'invincibilità di Roma, che permetteva di presidiare i confini con un numero di legioni pari alla metà di quelle strettamente necessarie) ed è interessante rileggere la storia utilizzando questa chiave, questo segno (oggi si potrebbe banalmente chiamare marketing e comunicazione), prodotto sempre dall'uomo "'symbolicum".

Ai nostri tempi, la California è stata, ad esempio, un mito che ha conformato le aspirazioni e l'esistenza di generazioni di giovani; l'India lo è stata per la filosofia hippie, e anche le ideologie novecentesche sono state in fin dei conti prodotti simbolici alla Cassirer (non si spiega altrimenti l'assenso dato all'invasione di paesi terzi, ai massacri, ai lager e ai gulag, se non con un'ubriacatura da mito).

In ogni caso, la tecnologia, l'energia (pensiamo agli schiavi romani che costruivano le strade), l'educazione e il mito fanno gli imperi. La pura manipolazione, invece, come insegna Noam Chomsky, rimane un'arma potente e pericolosa ma destinata a esaurirsi se non supportata da sostanza capitale, cultura e risultati.

Il mito di una Sardegna in salute e finalmente uscita dalla crisi, solo un segno/sogno prodotto da un narratore con lo scopo della propria sopravvivenza politica, può essere ancora utilizzato e avere un seguito acritico, mistico, ma è ormai incrinato dalla prova quotidiana dei risultati.

Non si fa della musica con una chitarra male accordata, non si risolvono le equazioni differenziali con i sofismi. E per quanto alla lingua madre, noi, come sardi, abbiamo già dato.

Ciriaco Offeddu

(Manager e scrittore)
© Riproduzione riservata