"La vera cultura è mettere radici e sradicarsi. Mettere radici nel più profondo della terra natia. Nella sua eredità spirituale. Ma è anche sradicarsi e cioè aprirsi alla pioggia e al sole, ai fecondi apporti delle civiltà straniere".

Sono i versi di Leopold Senghor poeta e primo presidente del Senegal, in carica dal 1960 al 1960. Sono 4925, in base agli ultimi dati dell'Istat, i senegalesi "sradicati" che vivono in Sardegna, impegnati soprattutto nel commercio ambulante e nelle campagne come pastori e braccianti agricoli. Anche loro, per la gran parte venditori itineranti, vivono con sofferenza lo sconvolgimento dei ritmi normali della vita provocato dalla pandemia.

Il lavoro è sospeso, c'è l'obbligo di restare a casa nell'attesa che il ciclone si plachi. I senegalesi di Sardegna si affidano alla preghiera e al sostegno che arriva all'interno di una comunità vasta e coesa ma anche dall'esterno grazie alla trama di relazioni e amicizie intessuta nella terra in cui vivono.

Abdou Ndiaye, 43 anni, nato in un villaggio nel cuore del Senegal, laurea in Scienze Politiche all'Università di Cagliari, è la guida e il punto di riferimento dei connazionali che si sono trasferiti nell'Isola. Nel suo duplice ruolo di responsabile dello Sportello Immigrazione della Cisl e di segretario dell'Unione culturale islamica garantisce un aiuto in tutte le questioni, piccole e grandi, che riguardano permessi di soggiorno, licenze per il commercio, pratiche amministrative.

La comunità senegalese come sta vivendo l'emergenza sanitaria?

"Con grande disagio e preoccupazione. Siamo tra due fuochi. In ansia per la situazione in Sardegna e per quello che potrebbe succedere nel nostro Paese. Siamo preoccupati per i nostri familiari".

In Senegal quali sono attualmente i pericoli?

"Il numero dei contagi non è altissimo ma occorre vigilare perché il quadro potrebbe aggravarsi. Viviamo nell'incertezza e con la paura che il nostro sistema sanitario non sia in grado di far fronte all'emergenza".

Chi vive grazie al commercio ambulante in questo momento come riesce a vivere?

"Con i piccoli risparmi e soprattutto con l'aiuto della nostra comunità e degli amici sardi. C'è una rete di solidarietà e di amicizie offre sostegno e protezione. È la conferma che i senegalesi in Sardegna hanno costruito nel corso degli anni rapporti forti e duraturi".

In queste settimane come si svolge il suo lavoro al sindacato?

"Lavoro al telefono. Le persone mi chiedono aiuto e consigli. Chi lavora, come i braccianti agricoli, vuole avere chiarimenti sul bonus che deve erogare l'Inps. Ma in tanti chiamano per sapere quando tutto questo finirà. Vogliono essere rassicurati di fronte a paure e inquietudini che nessuno poteva immaginare sino a poco tempo fa".

La preghiera è un grande conforto.

"Siamo musulmani, la fede è un aiuto straordinario. Nei gruppi whatsapp diamo vita a momenti di preghiera per chiedere al Signore una via per debellare il virus. Abbiamo a cuore i destini dell'Italia e del nostro Paese. Preghiamo per la Sardegna, la terra che ci ospita, e per le città e i paesi in cui siamo nati".

Che cosa vuole dire ai suoi connazionali?

"Di rispettare tutte le prescrizioni e di avere fiducia e speranza".

Fiducia e speranza che sono la sostanza delle poesie di Senghor: "Noi siamo gli uomini della danza, i cui piedi riprendono vigore colpendo il suolo duro".
© Riproduzione riservata