Chi dice che quella in corso è la "crisi di governo più pazza del mondo" forse non ha tutti i torti.

Ci si chiede ancora perché sia accaduto tutto questo e la risposta, al momento, non c'è. Ma il tocco di follia lo stanno dando i personaggi sulla scena che si alternano in dichiarazioni, tweet, comparsate televisive, parole smozzicate, annunci fumosi.

Ieri, a un certo punto, il "maratoneta" televisivo Mentana, dopo una lunga serie di interviste-lampo a uomini politici, ha sbottato: "Mi sa che questi ne sanno quanto noi". Cioè niente.

In queste ore abbiamo assistito a una conferma, due sorprese in negativo e una in positivo. Nicola Zingaretti ha confermato di essere quello che tutti sospettavamo: poco carismatico, fragile, esposto al forte vento della corrente renziana, che soffia impetuosa grazie al controllo dell'ex premier sui gruppi parlamentari. Il segretario del Pd ha prima fatto la voce grossa contro i pentastellati, poi è stato messo all'angolo della sortita dell'ex Rottamatore, che ha aperto alla Grillo&Casaleggio associati. Non si può dimenticare che all'inizio della legislatura era stato proprio Renzi a far naufragare l'accordo con il M5S e di questo si è vantato sino a poche settimane fa. Ah, la politica! In confronto il trasformismo di Depretis era coerenza.

E poi l'altro Matteo, quello che petto in fuori e crocifisso in mano ha dichiarato guerra alle Ong, all'Europa, al Pd e, alla fine, anche al governo di cui egli stesso fa (meglio, faceva) parte. "Oh capitano, mio capitano", che errore. La mossa gli si è ritorta contro, il suo gruppo dirigente non ha condiviso ma ha masticato amaro. In un baleno, l'Invincibile, lo schiacciasassi elettorale, si è ritrovato senza la sua arma migliore: il voto. E sono stati guai.

E siamo a Giuseppe Conte. La popolarità del premier, dopo la mozione di sfiducia leghista, è inaspettatamente aumentata, al punto da trasformare colui che era considerato una marionetta manovrata da Lega e M5S in un politico degno di un reincarico. Questo ha creduto il professore che in Senato ha distribuito legnate a più non posso al suo vice. Botte da orbi e sette-minuti-sette dedicati ai problemi del Paese. Non una gran figura. Fedele al motto andreottiano "il potere logora chi non ce l'ha", Conte, un minuto dopo le dimissioni, è scomparso dai radar.

Ed ecco la sorpresa. Fra tutti, Luigi Di Maio, l'ex venditore di bibite allo stadio San Paolo, il parvenu della politica, fuori dallo studio di Mattarella è quello che ha fatto la figura migliore: pacato, istituzionale, chiaro, lucido nell'elencare i dieci punti da affrontare per tenere a galla quest'Italia sgangherata.

Un discorso programmatico che non hanno fatto, nell'ordine, Conte, Zingaretti, Salvini e Berlusconi. Di Maio ha messo in riga tutti. Meno caciara e più senso dello Stato. La strada è questa.

Ivan Paone
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