Governabilità non garantita: l'analisi di Marco Pignotti
Così come le consultazioni non devono diventare un test di gradimento, non bisogna abusare delle elezioniPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Qualche giorno prima che scoppiasse la crisi più indecifrabile della storia italiana, il 72% degli italiani riteneva che fosse giunto il momento per tornare a votare. Dunque, la nostra popolazione manifesta un'inossidabile passione e un'ingiustificata fiducia verso quello che sta diventando più un rito taumaturgico, che una pratica democratica: il voto.
Ciò nonostante, il continuo ricorso alle urne in Italia, come altrove, rischia di non produrre alcuna reale stabilità politica soprattutto alla luce dell'elevato tasso di rissosità presente fra le diverse forze politiche.
In seguito all'esito delle recenti consultazioni europee è scaturita però la tentazione da parte di alcuni protagonisti di valutare le conseguenze della redistribuzione del consenso quando è passato poco più di un anno dalle elezioni del 4 marzo 2018.
D'altronde, sondaggi a parte, appare come del tutto evidente che il Movimento 5 Stelle vada incontro a un prevedibile ridimensionamento, così come è altrettanto chiara la forte dilatazione della Lega salviniana.
In sedici mesi il patrimonio di consensi dei pentastellati sembra essersi disintegrato sia a livello locale, sia a livello nazionale, mentre il partito leghista, dopo aver abbandonato l'originaria impostazione padana, è l'indiscusso protagonista delle ultime tornate elettorali persino in molte regioni dell'area centro-meridionale. Stante questi elementi difficilmente controvertibili, rimane ancora lecito interrogarsi se il ricorso anticipato alle urne possa portarci in Parlamento una coalizione realmente omogenea, in grado di realizzare un programma di legislatura.
L'attuale esperienza giallo-verde, ci dimostra concretamente come neppure un'ampia maggioranza numerica sia garanzia di per sé di un'efficiente e lineare governabilità. Di conseguenza, non è improbabile prefigurare uno scenario in cui anche nel nuovo Parlamento si registri un quadro di totale ingovernabilità, dove tutti sono incompatibili con tutti.
Fintantoché il dibattito viene monopolizzato da aspetti occasionali e dall'isteria mediatica, gli stessi esecutivi chiamati a reggere l'amministrazione del paese saranno infatti più orientati a un esercizio precario della conduzione politica, che a un'effettiva realizzazione di misure politiche strutturali. Non solo.
Ogniqualvolta un governo si trovasse di fronte a una situazione di stallo, non gli resterà quale unica risorsa di invocare l'anticipato scioglimento delle Camere, con il risultato di condannare la rappresentanza parlamentare alla completa impotenza e a un continuo discredito.
La corsa al voto, dunque, rischia di diventare un eccellente alibi per deresponsabilizzare la classe politica che, anziché promuovere un concreto indirizzo politico, preferisce demandare tale responsabilità all'elettore, di fatto, sottoponendo il requisito della legittimità a governare a una compulsiva verifica demoscopica.
La nostra Costituzione prevede che una legislatura duri cinque anni e, benché contempli l'ipotesi che questa si interrompa anticipatamente, riconduce tale evento all'eccezionalità. Attualmente i tempi della politica appaiono compressi e accelerati, o senz'altro meno compassati di quelli di settant'anni fa.
Ciò non significa che le consultazioni debbano diventare un test di gradimento. Le elezioni sono un meccanismo delicatissimo e rappresentano il principale requisito di un sistema democratico. Abusarne comporta il rischio di creare disaffezione e di indebolire il concetto stesso di “politica”, tanto più in una fase storica in cui il vero incontrastato vincitore delle ultime tornate elettorali è stato l'astensionismo.
Marco Pignotti
(Docente di Storia politica, Università di Cagliari)