L'acqua alta a Venezia ieri ha raggiunto un metro e 87 centimetri (secondo record di tutti i tempi), invadendo anche la basilica di San Marco, dove ha intaccato le colonne e i marmi già danneggiati (e sostituiti) dopo la marea del 30 ottobre 2018.

È una storia che a Venezia si ripete regolarmente con l'acqua alta, che le paratie del Mose (il sistema progettato per arginare l'alta marea) non riescono a contenere. Come mai? Ma non erano state progettate proprio per contenere l'acqua alta in caso di bisogno? Al 2018 erano già stati spesi 5,5 miliardi di euro, ma l'insieme delle opere deliberate per il Mose raggiungerebbe gli 8 miliardi.

Il sistema Mose doveva essere ultimato nel 2016, ma l'inaugurazione è slittata a fine 2021. Nel frattempo, si scopre che le stesse paratie, costruite in metallo, stanno arrugginendo prima della loro entrata in funzione ufficiale. Sottovoce, sono in molti a sostenere che il Mose sia un pozzo senza fondo, un'opera inutile per gli obiettivi che si prefiggeva di raggiungere, ma utilissima per il sottobosco politico-affaristico-imprenditoriale, che si è spartito una torta immensa di denaro pubblico.

Tutto ciò stride non poco con la presunta efficienza delle Regioni del Nord rivendicata dai governatori del Veneto, Luca Zaia, e della Lombardia, Attilio Fontana. Col governatore dell'Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, hanno chiesto l'autonomia differenziata argomentando che Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna sono Regioni efficienti nella spesa pubblica.

Ragion per cui non vogliono e non possono restare condizionate dall'inefficienza che caratterizza lo Stato centrale e soprattutto le Regioni insulari (Sicilia e Sardegna) e del resto del Mezzogiorno.

A distanza di due anni dal referendum veneto sull'autonomia, appare ora evidente quanto la retorica iniziale di Luca Zaia abbia inquinato non poco l'intero dibattito sull'autonomia differenziata. Il governatore veneto aveva basato la sua narrazione sul concetto di residuo fiscale (differenza tra imposte percepite e spesa effettuata nella stessa Regione per l'erogazione dei servizi pubblici), nonché sulla retorica dell'indipendenza e la pretesa di destinare al bilancio regionale i nove decimi del gettito fiscale riscosso nella Regione, così come già avviene per alcune Regioni e Province a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, provincia autonoma di Bolzano). Tutto ciò mischiato ad arte col regionalismo differenziato dell'articolo 116 della Costituzione.

La battaglia sul residuo fiscale ha consentito a Zaia di radicalizzare il consenso a suo favore dentro la Regione, ma allo stesso tempo ha fornito buoni argomenti ai suoi avversari, come il voler alimentare una frattura con lo Stato, legittimando la creazione di cittadini di serie A e di serie B. Inoltre, è apparso evidente che la retorica dello scontro a muso duro di Zaia non abbia pagato e che la perequazione e la solidarietà tra Regioni non dovranno venire meno col regionalismo differenziato. Il residuo fiscale, inoltre, non è un concetto operativo per definire l'autonomia, in quanto il nostro sistema fiscale si basa sulla capacità contributiva delle imprese e delle persone fisiche, non dei territori, il che lascia aperto il problema dei trasferimenti di reddito dalle Regioni più ricche in termini di Pil a quelle più povere.

Per il ministro degli Affari Regionali, Francesco Boccia, l'autonomia differenziata va fatta, ma in maniera coerente. Il principio cui essa s'ispira dev'essere la «lotta alle diseguaglianze, tra Nord e Sud, tra Nord e Nord, tra Sud e Sud». Pertanto, non deve trattarsi di una semplice operazione con cui lo Stato si spoglia di materie di sua competenza per darle alle Regioni. C'è un obiettivo politico-istituzionale più elevato, che è quello di ridurre le differenze tra le diverse realtà italiane, tra aree più o meno sviluppate del Paese. Zaia ha già risposto al ministro di non essere d'accordo, ma dovrebbe riflettere sul Mose prima di auto-attribuirsi un'efficienza più presunta che meritata.

Beniamino Moro - Università di Cagliari
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