Il codice segreto non è stato mai scritto. Luigi Lombardini, controverso magistrato di trincea, lo confessa quando l'anonima sequestri sta per cedere le armi. Giancarlo Caselli, il giudice di Palermo incaricato di squarciare il velo di omertà e mettere sotto accusa il sistema del giudice cagliaritano, non è ancora sbarcato in Sardegna. Lo sceriffo della Procura di Cagliari domina la scena. Non lesina frasi choc senza appello: una pallottola allo Stato costa 500 lire. Parla di latitanti, sequestratori, di coloro che battono la macchia, dalle scoscese vette del Mont'Albo ai canyon impenetrabili del Supramonte.

La sua fine è appesa a quella Magnum 357, un pistolone con calcio in madreperla bianca, che più volte ha posato con nonchalance sul tavolo di cucina nella sua casa cagliaritana, mostrando, a favore di telecamere, l'ultimo dei banditi crollati all'incedere delle indagini e all'avanzata delle forze dell'ordine. La stessa pistola con la quale l'11 agosto del 1998 Luigi Lombardini, classe 1935, si è tolto la vita. Un colpo letale sparato dritto in gola.

La chiave di volta per far cessare sequestri e mettere al sicuro latitanti non è, però, mai stata la pallottola incorporata nel tamburo rotante della sua Magnum. Quella faceva parte del copione, del duro che incatenava altri duri. Nel codice blindato e non scritto di Luigi Lombardini c'erano regole auree di un investigatore senza scrupoli ma anche raffinato e profondo conoscitore del sottobosco criminale sardo.

Direzione Antisequestri

L'anno della sua fine, era il 1998, lui pianificava la sua rinascita. In piena inaugurazione dell'anno giudiziario, davanti a magistrati e avvocati esterrefatti, estrae una leppa da 16 centimetri costruita per lui da un artigiano di Arbus. È plateale, come sempre. Usa la lama d'acciaio, affilata come una cesoia, per scardinare una busta formato ministeriale dove nasconde la missiva di Giovanni Maria Flick, il Guardasigilli dell'epoca. La comunicazione è burocratica e circoscritta: la Signoria Vostra è incaricata di organizzare e coordinare la predisposizione di un progetto per l'istituzione della Direzione Distrettuale Antisequestri.

Il piano era talmente innovativo e lungimirante che aveva fatto breccia. Per Lombardini latitanti e sequestri si dovevano sconfiggere con due capisaldi decisivi: il catasto terreni e il registro parrocchiale. Ieri come oggi. Da Matteo Boe a Graziano Mesina. Per mettere al sicuro ladri di uomini e bambini, per fermare latitanze infinite, raccontava il giudice, bisogna incrociare informaticamente proprietà terriere, confini e compari per ricostruire le catene di sostegno e copertura dell'anonima. Amava ripetere: in Barbagia un compare non si tradisce mai. Se battezzi o cresimi un figlio è un patto di sangue indissolubile.

La scelta

Graziano Mesina da mesi, da quando lo Stato lo ha rimesso in libertà per decorrenza termini, come se fosse un ladro di polli qualsiasi, si è attorcigliato il cervello con un dubbio amletico: affidarsi alla sua prima vita, quella di sequestratore e bandito "buono", come le cronache romanzate lo hanno forzatamente dipinto, oppure rivolgersi alla sua seconda vita, quella che lo vede crocevia del traffico internazionale di droga, anello di congiunzione maledetto tra criminalità sarda, camorra e 'ndrangheta.

La scelta non era solo questione di qualità criminale. Si trattava di un vero e proprio bivio. Tra il nord e il sud dell'Isola, tra patto di sangue e patto d'affari. La scelta da fare per la scontata e prevedibilissima fuga era tra la rete romantica del sigillo parrocchiale oppure quella incerta e spregiudicata della droga. La cronaca di queste ultime ore, con i 33 arresti per un traffico di droga imponente tra il nord Italia e il sud dell'Isola, lo avrebbe convinto senza tema di smentita sulla scelta da farsi.

La via da seguire

A favore della rotta verso la Corsica gioca certamente una rete consolidata, costruita nel tempo e nel sangue, nel timbro sacrale di un rapporto indissolubile tra compari. E poi c'è la logistica, i tempi, la fortuita o pianificata incursione di pescatori di frodo nel cuore del parco vietato dell'isola di Cavallò, nella giurisdizione a mare della Corsica, proprio nel momento del suo ipotetico trasloco.

Se l'avvocato ha detto il vero, l'ultimo saluto sarebbe stato a Orgosolo, alle 16 di giovedì scorso, giorno della fuga. La rinnovata primula rossa aveva davanti a sé un margine di appena tre ore dall'appuntamento prefissato alle 19 per la quotidiana firma alla stazione dei carabinieri di Orgosolo. Tre ore cronometrate, prima che scattasse qualsiasi allarme, sul quale, a dire il vero, Grazianeddu ha avuto un ulteriore abbuono di altre tre ore e mezzo sino all'incursione a casa delle forze dell'ordine avvenuta dopo le 22.30. Tempo sufficiente per raggiungere con qualsiasi mezzo, magari con staffette, il nord dell'Isola e tentare la carta della Corsica.

Due ore e rotte per raggiungere Santa Teresa Gallura ad andatura lenta, passando per le vie interne o attraversando, ancora da uomo libero, la strada principale della diramazione centrale nuorese. Strada a scorrimento veloce. Nessuna pattuglia in tempi di caccia all'uomo figuriamoci quando l'allarme non è ancora scattato.

Le Bocche

Raggiungere Santa Teresa di Gallura non è roba facile. Tortuoso come scalare i tornanti verso Orgosolo. Chi lo accompagna non ha ancora consumato il reato di favoreggiamento. Le 19 non sono ancora scoccate quando si intravede il blu cobalto del mare, stranamente poco imbronciato, che si staglia schiumoso sulle frastagliate insenature di granito addolcite dal vento delle Bocche più agitate del Mediterraneo. Conosce i suoi polli e a Santa Teresa di Gallura sa che, prima di tutto, non bisogna fidarsi dei traghetti. Quelli di Onorato sono vecchi come il cucco, non reggono il mare e la traversata è un perenne segno della croce. Non si affida alla Moby Bastia per il gran salto. Il catorcio ha 46 anni, nelle Bocche non naviga, fa le capriole.

Se Mesina ha scelto la Corsica per la sua dimora la ragnatela ha certamente messo a disposizione gommone o cabinato. E una fortuna sfacciata. Poco prima di salpare dalle coste sarde un gruppo di temerari incursori, su diverse imbarcazioni, partite dalla Sardegna, irrompe e fa scattare l'allarme nel parco protetto dell'Isola di Cavallò. La gendarmeria francese non fa passare un attimo che si precipita sul versante orientale della Corsica lasciando indifeso il corridoio centrale, quello più rapido per l'accesso verso la Corsica. Tutto questo proprio nell'ora del rientro in porto delle poche barche dei vacanzieri. Se non ci fosse di mezzo Mesina si potrebbe pensare al caso.

Vecchi legami

I rapporti della rinata primula rossa in questa enclave sardo-corsa del resto sono tutt'altro che occasionali. Costruiti nel tempo, con tanto di sigillo parrocchiale e frequentazioni costanti. Le impronte digitali sono scolpite nel tempo e il rapporto tra la criminalità sarda e la Corsica non sono solo un libro. Un'enciclopedia di fughe eclatanti, arresti, rapporti consolidati tra separatismo corso e base logistica per banditi in trasferta. Mesina non è uno sprovveduto e conosce a menadito la lezione di Lombardini. E del resto la fiducia non si acquista nel market della droga.

Ora in Corsica molto è cambiato. I separatisti hanno dismesso le bombe e hanno imbracciato l'arma del dialogo. Mesina potrebbe essere qui nel cuore della Corsica, laddove altri sardi latitanti, prima di lui hanno deposto le armi, a due passi da legami di sangue e non solo. Potrebbe essere qui già dal giorno della sua rinnovata fuga, nascosto in qualche eremo segreto nella montuosa Corsica, come fecero altri suoi allievi nel recente passato.

Lui, però, Grazianeddu Mesina è imprevedibile. Quando rivangava le sue gesta, per lui eroiche, amava raccontare un sopralluogo postumo nelle campagne di Orgosolo: «Il modo migliore per sfuggire alle ricerche è sempre quello di stare a ridosso di chi ti cerca. Non potrà mai pensare che tu sia proprio a due passi da lui».

Il traghetto della Moby per la Corsica parte a fine serata. Acque agitate, come quelle intorno alla nuova beffarda fuga di Graziano Mesina.

Mauro Pili

(inviato)
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