Un vero e proprio assalto di amianto alla terra di Sardegna. Dopo nemmeno settantadue ore dall'ultimo viaggio dei veleni dal nord d'Italia verso l'Isola, nella notte tra domenica e lunedì, una nuova nave carica della sostanza killer ha attraccato al Porto di Cagliari. Sempre al buio, con qualche accorgimento ulteriore per nascondere a occhi indiscreti una montagna di veleni da sotterrare nella discarica tra Carbonia e Gonnesa. Un fiume in piena. A occhio e croce un'altra decina di mezzi pieni di sacchi ciclopici, big bags, con l'emblema rosso e la A di amianto segnata come un epitaffio in ogni contenitore. Questa volta la scelta prevede la segregazione di quei contenitori in un'area inaccessibile, dove lo sguardo dei teleobiettivi si infrange su un muro.

Gabbiano d'acciaio

Vola il gabbiano d'acciaio quando l'alba schiarisce la notte. Dall'alto tutto è più chiaro: una distesa di tir posizionati a spina di pesce, per renderli impercettibili all'esterno. Eppure sono lì. Undici mezzi pesanti con non meno di venti sacchi da mille chili ciascuno. 220 mila kg della sostanza letale che genera tumori senza appello. Il porto è blindato. Nessuno può entrare. Passa la mattina. Nell'ingresso davanti alla dogana non si affaccia nemmeno per sbaglio un fanale di quelle motrici destinate a trainare quei veleni nel Sulcis. Una pattuglia della Finanza è piazzata all'ingresso-uscita del porto. Una presenza evidente, quasi di routine. Poco prima del pomeriggio i lampeggianti ufficiali, però, lasciano il varco. Via libera. Radio Porto non percepisce quel che sta per succedere. Al posto della pattuglia c'è un'anonima auto grigia, che più grigia non si può. Invisibile. Insospettabile. Il primo camion rosso con a bordo i primi 20 mila chilogrammi di amianto si muove verso l'uscita. Ma non la potrà varcare. La paletta discreta degli uomini in borghese è veloce come un fulmine. Accostare. I due agenti operano con la precisione e la sicurezza del chirurgo. Sanno cosa devono controllare. Non cercano né libretto di circolazione o patente. Invitano l'autista a scendere dal mezzo. Uno di loro sale sul camion e si accomoda all'interno della cabina di guida. Il pilota dell'amianto è a terra. Assiste muto, quasi imbalsamato, all'esproprio temporaneo del volante.

Garçonnière

Otto interminabili minuti dell'agente dentro quella garçonnière viaggiante. I documenti che l'uomo preleva scendono con lui. A quel punto inizia un primo controllo delle carte di viaggio. Il controllo è per il mittente di quei veleni, la società di trasporti e il ricevente. Nella catena dei rifiuti sono questi i tre perni che rispondono direttamente del materiale trasportato. Ai piani alti gli inquirenti non smettono di domandarsi perché quei rifiuti debbano lasciare il nord Italia, solcare il Tirreno, per raggiungere la discarica della Riverso a Carbonia. I documenti passano di mano in mano sino a quando dal telefono di uno dei due partono una serie di telefonate. Sul posto arriva di tutta fretta, con lampeggianti accesi, una pattuglia della Guardia di Finanza che si posiziona proprio dietro il camion sotto osservazione. Altri due agenti questa volta in uniforme confabulano con i due in borghese. Passano minuti interminabili, le mezz'ora scollinano per due volte le lancette. Dopo un'ora e dieci la comunicazione al camion: proceda. E' difficile immaginare che sia un via libera per andare nel luogo dello scarico. La via intrapresa, però, è quella. Al seguito anche l'anonima macchina grigia.

Niente freccia

Una volta giunti alla svolta per Carbonia, sulla 130, ti aspetti la freccia a destra. E, invece, niente. Sempre dritto, verso Iglesias. Pensi al giro largo. Il camion, però, in discarica non arriverà mai. Costretto a fermarsi nel suo deposito nella zona industriale di Sa Stoia. Carico di amianto. Bocche cucite su quel blitz inaspettato, fulminio e infinito. Il capitolo discarica dei veleni e viaggi di amianto ha scritto appena la prima pagina. Le verifiche non si chiudono in pochi giorni e la definizione degli intrecci non è roba da flash mob. Stessa fine per un altro mezzo che esce dal porto carico di amianto solo dopo l'ennesimo controllo. Anche il suo pianale non varcherà Monte Onixeddu. La discarica è spettrale, come se si fosse fermata ad uno stop. Nessun mezzo in movimento, nessun mezzo in fila per scaricare.

Catena di comando

La catena di comando che spedisce in Sardegna questi veleni è articolata. Non si tratta di una partita solo sarda e gli investigatori sanno bene che la materia dei rifiuti è questione che scotta. Sul caso della discarica della Riverso, infine, pesa come un macigno una delibera della giunta regionale, la numero 59 del 27 novembre del 2020. Sembrerebbe una concessione, quella per costruire il sesto e settimo argine della discarica, due piani in più, in realtà è una mazzata senza appello. La disposizione è vergata come un ordine perentorio, invalicabile: la volumetria netta che potrà essere autorizzata è pari a 233.800 metri cubi.

Esclusivamente

Peccato che la postilla successiva sia una sentenza: «volumetria costituita da rifiuti provenienti esclusivamente dal territorio regionale». Esclusivamente, come un colpo al cuore e al portafoglio della famiglia napoletana dei Colucci, proprietaria di questa ciclopica montagna dei veleni. Presentano ricorso al Tar Sardegna per l'annullamento della delibera della Regione. L'udienza, però, non è stata ancora fissata e il divieto regionale è in vigore. Tar e Consiglio di Stato, del resto, su analoga situazione sarda si sono già pronunciati: è vietato mandare rifiuti in Sardegna. La guerra dell'amianto e dei veleni è appena agli inizi.

Mauro Pili

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