Il primo sole non si è ancora affacciato sulla Sella del diavolo. L'alba è ancora lontana. Una distesa di nebbia avvolge le luci sgranate del molo di ponente nel porto commerciale di Cagliari. Una distesa di semirimorchi giace a ridosso del mercato ittico. L'unica motrice che irrompe nel finale della notte, a ridosso delle sei del mattino, è irrimediabilmente rossa. Non dalla vergogna, anche se ce ne sarebbe ben donde. I motori si contendono il garrito dei gabbiani, grassi come maiali volanti, non foss'altro per il pesce che circola in quell'enclave di pescatori.

Carico al vento

L'aggancio del trattore è riservato al pianale più imbarazzante del porto. Un carico spaventoso di 20 mila kg di amianto puro da far sparire al più presto nella discarica dei veleni. Pianale e basta. Solo sacchi bianchi, con tanto di emblema di morte, legati con cinghie di sicurezza, come fosse un normale trasloco. Nessuna copertura, nessuna sponda laterale e posteriore. Un viaggio rattoppato a funi e cavi, come non se ne vedono più nemmeno nella profonda Africa. L'operazione di trasporto di questo carico di veleni può avvenire soltanto al buio. Prima che i giornali siano in edicola. Non potranno spostare tutti e tre i tir carichi di amianto rimasti ancora dentro il porto. Sabato è giornata di tregua. Quello più osceno, però, non può restare lì in bella vista. E' il segnale eloquente che il nervosismo affiora, come la preoccupazione di un controllo che, però, non arriverà. Quando il mezzo lascia il porto di Cagliari, davanti a sbarre di controllo e uscite presidiate, non ci sono strade per depistare. Il carico di amianto, visibile su ogni lato del mezzo, intraprende inesorabilmente la statale 130, la direttrice è quella di Cagliari-Villamassargia. Lo svincolo per Carbonia è il segnale che conferma la previsione: si marcia verso Monte Onixeddu. La missione si traduce in certezza quando il camion svolta per un segnale quasi turistico: discarica Riverso. E' la prova regina. I camion carichi di questo letale materiale sono tracciati. Le targhe dei rimorchi, seppur consunte, sono il segno inamovibile che quei rimorchi scaricati nella notte di giovedì dalla motonave Maria Grazia Onorato, battente bandiera Tirrenia, stanno raggiungendo i tornanti di terra battuta che scalano la vecchia miniera di Barega per dispiegarsi, poi, all'interno di una selva oscura di veleni. Nonostante sia sabato, i mezzi per il movimento terra sono stati allertati per questo carico da interrare senza troppi complimenti in questo paesaggio spettrale che traguarda a due passi il centro abitato di Gonnesa. Basta documentare un semplice incrocio, la targa del tir in partenza (AE 66241) e quello che, vuoto, esce dalla discarica per avere la prova regina. L'amianto arrivato via nave dal nord e centro Italia è stato appena scaricato nella discarica Riverso, quella della famiglia Colucci, campani doc, venuti in terra di Sardegna per gestire questa montagna di veleni che giorno dopo giorno sovrasta sempre di più l'orizzonte. Le sponde della discarica sono segnate dall'erosione idraulica, la vegetazione stenta a coprire il ciclopico cumulo di rifiuti pericolosi provenienti da mezza Italia. Il fronte di riempimento marcia inesorabilmente. Le quote di rialzo della discarica sono segnate da sacchi posti a piramide nel centro dei nuovi anelli. L'obiettivo è sotterrare sull'intera area altri tre piani di amianto e rifiuti letali per la salute umana e l'ambiente. I guardiani della discarica inseguono la via d'uscita per intimare la fine delle riprese televisive. L'esortazione, quasi minacciosa, tesa a distogliere il teleobiettivo dai veleni, non è convincente. Agitando le mani con il gesto che invita a sloggiare da una strada pubblica azzardano: «Le farebbe piacere se le filmassero dentro il giardino di casa?»

Giardino di veleni

Peccato che quel giardino sia un deserto di veleni che incide non poco sulla salute e sull'ambiente dell'intera collettività. Lo scenario è agghiacciante, in quest'oasi di rifiuti pericolosi. L'impatto di quei sacchi di amianto, sovrapposti uno sull'altro, toglie il respiro. La Regione sarda aveva vietato ogni invio nell'Isola di rifiuti provenienti da altre regioni. I signori della Riverso, invece, incuranti di sentenze e disposizioni, continuano a riempire quella discarica di veleni inviati dalla lobby nazionale verso l'Isola. Il patto, emerso negli atti processuali al Tar, è esplicito. Le imprese del nord che trattano rifiuti hanno una linea univoca: «Le nostre discariche del nord e centro Italia sono piene o chiuse, l'unica possibilità che esiste è quella di spedire quei veleni in Sardegna». Benvenuti nel giardino dei Colucci, discarica di veleni nel cuore del Sulcis. Con il silenzio di molti, anzi, di troppi.

Mauro Pili

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LA PRIMA PARTE DELL'INCHIESTA
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