C’è chi sta a guardare, chi, invece, lavora alacremente sottobanco. Il piano “segreto” per mettere le mani “private” sulla gestione dell’acqua in Sardegna è per il momento senza impronte digitali. I giuristi lo definiscono “combinato disposto”, per gli studiosi di astronomia una sorta di “convergenza astrale”, in realtà è un insieme di tasselli che, seppur apparentemente autonomi, puntano ad un unico obiettivo: privatizzare l’acqua sarda. Un piano “taciturno” fatto di chiassosi silenzi, ritardi, omissioni, disfunzioni, debiti e persino perdite di bilancio, palesi e non solo. Un quadro devastante, a due anni dalla fine della concessione del servizio idrico integrato della Sardegna.

Il silenzio del blitz

La notizia sulla privatizzazione della risorsa idrica, da concretizzarsi entro il 2025, riportata ieri in esclusiva dall’Unione Sarda, doveva restare blindata negli uffici del palazzo, senza disturbare i manovratori di un’operazione scandita da documenti ufficiali “secretati” e un “lasciapassare” silente e complice. Il diktat dell’Unione Europea, che impone alla Regione Sarda di affidare ai privati la gestione del servizio idrico, pubblicato ieri dal nostro giornale, è l’ultimo atto di un piano che arriva da lontano, costruito nei minimi dettagli da chi per anni ha perseguito, dall’interno e dall’esterno dell’Isola, la missione “privata” per il governo dell’acqua in Sardegna. La resa dei conti si è materializzata con un atto “europeo” che nessuno, né ufficialmente né politicamente, si è sognato di mettere in discussione, tenendolo inchiodato nei cassetti delle pratiche da tenere sottotraccia. L’Europa, il 27 marzo scorso, infatti, aveva comunicato alla Regione, attraverso l’Ambasciatore italiano in Europa, la decisione di bocciare senza appello la richiesta di proroga della concessione per la gestione del servizio idrico. Ad oggi su quel “aut aut” di Bruxelles non c’è stato un solo sussulto, tantomeno un atto che impugni o contrasti quella decisione, quasi che quel diniego fosse auspicato e benvenuto.

Svegliati tardi

L’annosa piaga che tenta maldestramente di dissolvere ogni responsabilità si annida ancora una volta nella consueta litania: l’ha detto l’Europa. In realtà la partita è ben altra, soprattutto alla luce del fatto che gli uffici della Concorrenza europea non si sono pronunciati sul merito, ma sulla tempistica della richiesta avanzata dalla Regione Sarda. Manuel Martinez Lopez è stato netto: vi siete svegliati tardi, quando il piano degli aiuti era già cessato. Impossibile, per il conciliabolo europeo, correggere un atto che si era di fatto già “esaurito” da due anni. Un dato è certo: la richiesta della Regione di prorogare di tre anni la scadenza della convenzione, dal 2025 al 2028, ripristinando la vecchia data, non ha mai messo in discussione il piano di privatizzazione. Anzi, con la richiesta di proroga, fuori tempo massimo, e la conseguente risposta dei palazzi europei, si è di fatto avallato il piano di cessione ai privati, attraverso una gara internazionale per il servizio idrico della Sardegna.

Pnrr, la doppia faccia

La richiesta avanzata dalla Regione sarda attraverso l’Ambasciata italiana a Bruxelles non solo è stata sonoramente respinta, ma ha consentito all’Europa di sancire una posizione senza appello. Scrivono i burocrati di Bruxelles nella missiva destinata alla Sardegna: «Il Pnrr dell’Italia contiene numerosi impegni in materia di appalti pubblici e concorrenza. In particolare, il Pnrr prevede che l’Italia velocizzi le gare per l’attribuzione degli appalti, e aumenti le gare per l’aggiudicazione dei contratti di servizi pubblici locali. Orbene, l’intenzione delle Autorità italiane di posticipare la gara per l’aggiudicazione del servizio idrico integrato in Sardegna contraddice tali impegni». Come dire, con la sola richiesta di rinvio state minando il rapporto di “sudditanza” sottoscritto all’atto di approvazione del Pnrr. In quell’occasione, infatti, l’Italia non solo ha accettato quelle risorse finanziarie, ma si è impegnata ad «aumentare le gare per l’aggiudicazione dei contratti di servizi pubblici locali». Anche in questo caso per i Paesi forti dell’Unione Europea quella “gentile” concessione finanziaria mal celava una rilevante contropartita: da una parte hanno concesso all’Italia 209 miliardi del Pnrr, una parte a fondo perduto e una più consistente da restituire, ma dall’altra hanno imposto al Bel Paese l’obbligo di privatizzare i servizi essenziali, a partire dall’acqua. E, in questo quadro, non è un segreto che le imprese francesi, spagnole e tedesche sono pronte a fare man bassa, in lungo e in largo, dei servizi pubblici, dall’acqua all’energia eolica, Isola di Sardegna soprattutto.

Il patto di Draghi

In sostanza, con l’approvazione del Pnrr, Draghi e company si sono impegnati a privatizzare l’acqua, avallando la già devastante scelta in capo alla Regione sarda che, pur potendo, niente ha fatto per evitare l’avvento dei privati nel governo dell’acqua dei sardi. In ballo c’è un sistema idrico regionale complesso che conta una gestione acquedottistica per 345 comuni, 346 depuratori in esercizio, 12.117 chilometri di reti idriche tra adduzione e distribuzione, 6.391 km di reti fognarie, 749 serbatoi di accumulo. Un patrimonio pubblico imponente, il più delle volte gestito con logiche clientelari piuttosto che con l’efficienza necessaria, pianificazioni confuse e senza orizzonte, opere finanziate per centinaia di milioni di euro da decenni rimaste bloccate per inettitudine e negligenza.

Governance idrica, il buco

Per non parlare delle questioni relative alla governance della risorsa idrica, basterebbe un solo dato. Nel bilancio (in perdita di 11 milioni) appena approvato di Abbanoa vi è un dato inquietante: al 31 dicembre del 2022 il fondo svalutazione crediti ha raggiunto la montagna di 446 milioni di euro. In pratica denari che la società idrica dichiara di essere in procinto di perdere definitivamente, per mancati pagamenti o per somme prescritte. Un capitolo, quello della gestione della società in house della Regione, che da solo è uno dei tasselli più delicati visto che, in questi ultimi 20 anni, la privatizzazione è stata attuata di fatto, cedendo importanti e decisivi asset gestionali direttamente ai privati, a partire dal mega appalto della depurazione aggiudicato per il 90% alla spagnola Acciona, una multinazionale che dentro i palazzi regionali da tempo si muove come una padrona di casa.

Appalto miliardario

Se non interverrà un’azione seria e concreta, sia sul piano strategico che giuridico, per bloccare in ogni modo la gara internazionale per privatizzare la gestione della risorsa idrica in Sardegna si andrà incontro ad una vertiginosa corsa al rialzo del costo dell’acqua e del servizio complessivo, considerato che i privati che eventualmente gestiranno la risorsa idrica non apriranno nell’Isola una succursale dell’associazione “Fatebenefratelli”. Non sarà, insomma, una gara a chi farà pagare meno i cittadini, ma probabilmente l’esatto contrario. Alla base dell’appalto ci saranno due macro valutazioni da mettere in competizione: l’offerta tecnica e quella economica. Nella prima, quella più discrezionale nella valutazione, dovranno essere proposti livelli di servizio, standard di qualità, modelli organizzativi e gestionali, piani di manutenzione e di infrastrutturazione. Nella seconda, invece, è prevista un’offerta meramente economica, sia per gli investimenti che per la tariffa idrica. Utilizzando i parametri minimi per un appalto di questa portata si può ipotizzare un “costo base” del servizio di 270/300 euro procapite all’anno. Utilizzando la base di calcolo più bassa l’affare raggiunge cifre spaventose: 405 milioni di euro all’anno, che moltiplicati per i 18 anni di concessione diventerebbero quasi otto miliardi di euro. All’appalto, infine, potranno concorrere solo multinazionali con un fatturato annuo di almeno mezzo miliardo. La Sardegna e i sardi sono serviti.

(2.continua)

© Riproduzione riservata