Il capitano giusto al posto giusto al momento giusto. In grado di dare un tocco magico al finale e lasciare così un altro segno indelebile nella storia del Cagliari. Questo gol-salvezza, il secondo stagionale dopo quello, inutile, segnato a Venezia quattro mesi fa, vale quanto un campionato di attesa e pazienza mista a rabbia e adrenalina, consumato per lo più in panchina, al servizio della squadra, la sua squadra, sempre, comunque. Perché le parole nello spogliatoio hanno un peso enorme, soprattutto nei momenti difficili. Ma alla fine è il campo a incoronare (o smascherare) il Re e a regalare le emozioni che restano.
A braccetto col destino
Eccolo, dunque, Pavoletti, e chi sennò. Il campione della porta accanto. E della provvidenza. L’ultimo (e unico) a trascinare verso il successo i rossoblù al Bentegodi contro il Verona era stato Gigi Riva, nel 1972. «Me l’hanno ricordato quando stavamo partendo e qualcuno mi ha detto: “vediamo se ti riesce anche questa cosa”», ha svelato l’attaccante livornese. Chi glielo ha detto sapeva, in fondo, che le probabilità che ciò accadesse erano altissime visti i precedenti, soprattutto a Bari, ma non solo. È andata proprio così. Non poteva che andare così.
Tu chiamale emozioni
Lo stesso Davide Nicola, che già alla vigilia in conferenza stampa lo aveva esaltato, si è dovuto lasciare andare per una volta di fronte a tutto questo strapotere emozionale sprigionato dal capitano. «Senza giri di parole: io sono veramente estasiato da Leonardo Pavoletti per lo spirito, la qualità e la continuità con cui ha giocato finché ne aveva». E mentre lo diceva, dava quasi la sensazione di trattenere quelle lacrime che il piccolo tifoso Diego, invece, ha lasciato scorrere rendendo - grazie alle telecamere di Sky - l’ennesima favola “pavolosa” eterna in tempo reale.
Il compromesso
L’ottava stagione in rossoblù rischiava di perdersi nell’anonimato, per quanto tutti - tra giocatori, staff tecnico, dirigenti e tifosi - abbiano sempre riconosciuto in lui l’uomo guida e un punto di riferimento per il gruppo. A 36 anni, ha fatto un compromesso con l’età imparando a dare più valore al tempo. Può bastare una manciata di minuti per scrivere la storia, lui è la prova provata e riprovata. Anche se sperava di giocare un po’ di più, chiaramente. Senza, però, mai farlo pesare all’allenatore o ai compagni. Ha sempre messo il Cagliari davanti a tutto e - paradossalmente - è stato decisivo nella crescita di Roberto Piccoli, il rivale più giovane al quale, oltre al testimone nel cuore dell’attacco rossoblù, ha ceduto i consigli più preziosi e una spalla su cui appoggiarsi ogni volta che ne ha avuto bisogno. E il selfie scattato dal bergamasco dentro gli spogliatoi del Bentegodi fa il paio con la commozione di Nicola e il pianto a dirotto del piccolo tifoso al quale Pavoletti ha poi regalato la sua maglia dicendogli: «Sei tu il vero eroe».
Il sorriso
Ha dovuto aspettare 34 giornate per giocare titolare in campionato, ha colto l’attimo. «Volevo una partita così, ci tenevo tanto». Intervistato da Sky con il premio di Mvp tra le mani, ha lasciato parlare il cuore: «È una vittoria di orgoglio e fratellanza, torniamo a Cagliari e in Sardegna pieni di tante belle cose». Come il suo sorriso, contagioso. Nemmeno due crociati in un anno e una retrocessione sanguinosa sono riusciti a scalfirlo. Così, tra un sorriso e l’altro, un gol e l’altro, Pavoletti sta costruendo un pezzo di storia rossoblù.
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