L’inchiesta

Fondi Ue, fermata Mogherini 

Sospetta frode sulla formazione dei diplomatici: nei guai anche l’ambasciatore Sannino 

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Bruxelles . «Forti sospetti» di irregolarità nell’appalto per la nuova Accademia diplomatica europea. Abbastanza forti da far scattare un’operazione che colpisce il cuore della diplomazia comunitaria, portando nella rete della giustizia tre italiani: l’ex Alta rappresentante dell’Ue Federica Mogherini, l’ambasciatore Stefano Sannino e il dirigente del Collegio d’Europa Cesare Zegretti. Le ipotesi messe in fila dagli inquirenti della Procura europea sono pesanti: frode, corruzione, conflitto d’interessi e violazione del segreto professionale, con il sospetto che l’istituto fucina dei diplomatici Ue del futuro - dal 2020 sotto la guida di Mogherini - abbia ottenuto informazioni privilegiate sui criteri di selezione del bando prima della pubblicazione ufficiale. Un potenziale vantaggio competitivo che ha subito fatto scattare l’allarme degli investigatori guardiani del bilancio dell’Unione.

I controlli a tappeto

Era da poco passata l’alba quando Bruxelles ha iniziato a mormorare di un blitz destinato poi ad assumere proporzioni inattese. La conferma è arrivata presto: intorno alle 7,30 una decina di agenti in borghese ha varcato la soglia del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), il ministero degli Esteri dell’Ue, a pochi passi dal più celebre Berlaymont, sequestrando documenti e supporti informatici. Altre squadre, in parallelo, passavano al setaccio alcune abitazioni private mentre, un centinaio di chilometri più a nord, venivano controllate le aule del Collegio d’Europa. Poi i fermi, scattati tutti nella capitale delle istituzioni Ue in uno stretto coordinamento tra la procura europea (Eppo), l’ufficio anti-frode (Olaf) e la polizia federale delle Fiandre occidentali. Per ora nessuna imputazione: Mogherini, Sannino e Zegretti restano sotto interrogatorio, in attesa che il giudice istruttore decida - entro 48 ore - se convalidare i fermi. Un blitz arrivato come a orologeria, nel pieno dei colloqui sull’Ucraina e mentre l’Europa fatica a trovare una voce unica e un’influenza globale. La Commissione europea, interpellata, ha scelto il silenzio.

Linea del silenzio

Un riserbo che, secondo fonti qualificate, ha incluso però un passaggio chiave: l’assenso alla revoca dell’immunità di Sannino - già segretario generale del Seae, oggi direttore della Direzione generale della Commissione Ue per il Medio Oriente e il Nord Africa - per consentire agli inquirenti di analizzare il suo cellulare. Nessuna parola neppure dal cerchio ristretto di Mogherini, che si è chiuso intorno all’ex ministra degli Esteri italiana, diventata negli anni una delle figure più riconoscibili della scena europea. L’unica presa di posizione a lei vicina è arrivata dal Collegio, che ha assicurato, «piena collaborazione con le autorità». Ma l’onda d’urto ha presto investito anche l’Europarlamento, toccando da vicino l’intero spettro della politica italiana con Lega e M5S che hanno chiesto chiarezza immediata, mentre da Roma il titolare della Farnesina Antonio Tajani ha ribadito il suo rispetto del garantismo.

Le voci più aggressive

La portata dell’affaire si misura però soprattutto dalle voci più aggressive di Mosca e Budapest. «L’Ue preferisce ignorare i propri problemi di corruzione mentre continua a fare la morale agli altri», ha affondato la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, insinuando che, «milioni di euro scorrono da anni attraverso canali opachi verso Kiev». La stoccata più velenosa è arrivata poi dall’Ungheria, rivolta proprio a chi - come Mogherini - del rispetto dello stato di diritto ha fatto una battaglia che più volte ha incrociato le derive di Viktor Orban. «Un altro giorno, un altro scandalo Ue», ha ironizzato su X il portavoce del premier ungherese Zoltan Kovacs. Un affondo che a suo modo ha riportato a galla anche i fantasmi del Qatargate, esploso proprio a dicembre di tre anni fa e rimasto poi al punto di partenza, e le recenti ombre su Huawei.

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