Leone, come Francesco e come, nel Giubileo del Duemila, Giovanni Paolo II: «Da ogni caduta ci si deve poter rialzare, confido che in molti Paesi si dia seguito al desiderio – di Bergoglio contenuto nella Bolla di indizione dell'Anno santo dedicato alla speranza – per forme di amnistia o di condono della pena». L'appello alle istituzioni arriva da Papa Prevost nel Giubileo dei Detenuti, nella basilica di San Pietro. Presenti 6mila pellegrini, coinvolti a vario titolo nel mondo delle carceri: detenuti, cappellani, dirigenti di istituti penitenziari, magistrati, volontari. Il pensiero del Papa va a problemi come il sovraffollamento, l'impegno ancora insufficiente di garantire programmi educativi stabili di recupero e opportunità di lavoro. Criticità di fronte alle quali sottolinea: «Il Signore continua a ripeterci che c’è solo una cosa importante: che nessuno vada perduto - continua –. La giustizia è sempre un processo di riparazione e di riconciliazione. Quando si custodiscono sensibilità, attenzione ai bisogni degli altri, rispetto, capacità di misericordia e di perdono, allora dal terreno duro della sofferenza e del peccato sbocciano fiori meravigliosi e anche tra le mura delle prigioni maturano gesti, progetti e incontri unici nella loro umanità». Dalle pagine della Stampa interviene anche il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi. «C'è troppa sofferenza nelle carceri - afferma -. Si tratta di fare giustizia alla vittima non di giustiziare l'aggressore. Due terzi delle persone che escono dal carcere e che hanno seguito percorsi solo dentro al carcere sono recidivi. Al contrario, coloro che sono stati ammessi a fruire delle misure alternative al carcere hanno una bassissima recidiva».
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