Dopo la campanella, quella che stamane passa dalle mani di Mario Draghi a quelle di Giorgia Meloni, la festa è già finita. Palazzo Chigi, la trincea avanzata del governo, non ha tempo per preamboli di corte. Alle porte dei palazzi di Roma bussano con l’impeto dell’emergenza-urgenza quelli che nel gergo degli apparati di Stato sono i dossier che scottano. Il passaggio è cruciale, dalle promesse declinate con tanto di impegni notarili davanti agli elettori alle azioni di governo, quelle da declinare non a parole ma con atti vergati con il timbro della Ragioneria di Stato. Rose e fiori, spine e calvari nuovi e consolidati, da sempre croce e delizia del potere, quello navigato e neofita. Lo scenario in questo caso non si prospetta, irrompe. Dalla crisi energetica al costo della vita, dalla guerra alle porte dell’Europa alle risorse ingenti a disposizione di un Bel Paese che non si riesce a spendere, nonostante i proclami. Emergenze e urgenze che molto spesso sono la facile scusa per non affrontare le questioni sarde, derubricate come localistiche e di secondo piano. Per la Sardegna, nonostante la consonanza politica tra il governo regionale e quello italiano, centrodestra a Cagliari come a Roma, il rischio è ancora una volta di finire in fondo alla fila dei problemi. Questa volta, però, su molte questioni, dall’energia alle Autonomie, l’agenda del Governo di Roma passa necessariamente per la Sardegna, non foss’altro che su alcune questioni l’Isola non solo può esprimere il “veto” costituzionale, ma può anche essere decisiva per risolvere questioni strategiche. Il dossier Sardegna, dunque, non è solo un «cahiers de doléances», ma anche l’occasione per rimettere mano a quel principio di coesione territoriale, economico e sociale scandito dalla Carta costituzionale. L’Agenda Sardegna è, dunque, emergenza ed urgenza, ma anche strategia e futuro. L’Abc delle priorità per l’Isola traccia le questioni aperte e quelle che necessariamente coincidono con l’agenda del governo Meloni. Una partita con lo Stato, e con questo Governo, non semplice a partire dal “ruolo” costituzionale dell’Isola.

AUTONOMIA

Il tema è caldissimo. Il governo ha tra i punti nel programma le cosiddette Autonomie differenziate. In pratica almeno quattro regioni, Lombardia, Veneto, Piemonte e Emilia Romagna hanno chiesto di diventare regioni di fatto “speciali”. In pratica chiedono allo Stato più poteri, ma soprattutto più soldi. I governatori nordisti pensano di portarsi a casa la bellezza di 36 miliardi di euro all’anno, da sottrarre al fondo di coesione, quello destinato, teoricamente al riequilibrio territoriale. L'operazione, se dovesse andare in porto, costituirebbe il primo grande vulnus costituzionale per la Sardegna, scavalcata, insieme alle altre regioni a Statuto Speciale, dalle regioni ordinarie “differenziate”. In questo caso, con una norma ordinaria, verrebbe cancellata la norma costituzionale che rende “speciali” le Regioni autonome. In questo caso per la Sardegna si aprirebbe, senza alternative, la strada del ricorso alla Corte Costituzionale per difendere le proprie prerogative e rivendicare la piena attuazione del proprio Statuto, a partire dalla vertenza entrate dilapidata nel 2006 con un accordo che ha scaraventato sul bilancio della Regione sarda sia la sanità che i trasporti. La definizione delle entrate per la Sardegna dovrebbe necessariamente ripartire almeno dall'equiparazione delle entrare alla pari dei parametri applicati alla Sicilia.

AMBIENTE

Sul tavolo del governo c’è la partita, totalmente ignorata dagli ultimi governi, relativa all’attuazione del piano delle bonifiche delle zone industriali. Oltre il 90% di quelle prescritte, in base agli indicatori di attuazione, risultano non realizzate. In ballo ci sono centinaia di milioni di euro che riguardano principalmente la bonifica delle aree inquinate di Sarroch, Macchiareddu, Porto Torres, Ottana e Sulcis.

CULTURA

Al Ministero dei Beni Culturali si gioca uno degli snodi cruciali dello sviluppo dell’Isola soprattutto per la questione relativa alla gestione della competenza del “paesaggio”. Più di una sentenza costituzionale ha riconosciuto la competenza primaria della Regione, ma la conflittualità con il Ministero è stato il più grosso ostacolo nella gestione del Piano Paesaggistico. Riscrivere regole certe per la governance del “Paesaggio”, nel pieno rispetto delle prerogative dello Statuto e delle norme di attuazione, è un obbligo non più rinviabile. Da questo passaggio dipende sia la legge sul Piano Casa che una legge urbanistica all’altezza di un serio rilancio economico della Sardegna, nel pieno rispetto dell’ambiente, ma senza anacronistici e dannosi divieti ideologici.

ENERGIA

È la questione più urgente. Lo scontro con il governo Draghi è stato totale. Sino al ricorso della Regione sarda al Tar Lazio per impugnare il decreto energia che commissariava di fatto la Sardegna. Un piano di devastazione energetica che prevede la chiusura delle centrali di Portovesme e Porto Torres, la realizzazione di un cavo guinzaglio da 3,7 miliardi di euro per far dipendere la Sardegna in toto dal Continente e nel contempo scippare all’Isola sia l’energia del sole e del vento. I governi di questa ultima legislatura, con una prepotenza degna del peggior regime energetico, hanno negato in ogni modo il metano alla Sardegna, prima cancellando la dorsale e poi prevedendo un prezzo del gas differenziato tra l’Isola e il resto d’Italia. Ora la Regione, con il potenziale governo amico, potrebbe rivendicare: la riconversione a gas (metatono-idrogeno) delle due centrali, alla pari di quello che sta avvenendo nel resto d’Italia; la realizzazione della dorsale del gas, già concepita come Hydrogen ready, ovvero predisposta per essere utilizzata per trasportare l’idrogeno, la fonte che garantirebbe alla Sardegna la totale indipendenza energetica. La stessa imposizione del rigassificatore galleggiante a Portovesme, avversato dalla popolazione e dal buon senso, potrebbe essere rivista anche per l’impossibilità di realizzare l’escavo del porto in tempi ragionevoli. In questo scenario si dovrà certamente ottenere il riequilibrio del prezzo del gas, non costringendo i sardi a pagare bollette ancora più esorbitanti rispetto a qualsiasi cittadino italiano. In questo scenario internazionale, destinato a protrarsi ancora a lungo, riassume rilievo strategico il Galsi, il metanodotto Algeria – Sardegna – Italia –Europa. Un metanodotto che potrebbe essere realizzato con le condotte sulla terra ferma già Hydrogen ready, diventando la prima grande infrastruttura del Paese pronta alla gestione dell’idrogeno. Si tratta di capire se anche questo governo sarà succube dell’Eni o perseguirà una linea di autonomia razionale capace di gestire la partita energetica senza dipendere da chi ha continuato ad impedire una vera liberalizzazione dell’approvigionamento energetico.

EOLICO

In ballo c’è anche una vera e propria invasione eolica, sia in mare che in terra, con una previsione di produzione di energia per oltre 20 milioni di abitanti. La Sardegna sarebbe irrimediabilmente devastata. La Capitaneria di Porto di Cagliari ha già bocciato quello scempio a mare per due progetti. È evidente che il Governo dovrà decidere se confermare quello scempio o fermarlo. Da questo si valuterà anche la tenuta del rapporto tra Roma e Cagliari. Fermare l’invasione eolica, bloccando l’operazione monopolista dell’Enel, significherebbe anche un ruolo da protagonista della Regione nella gestione di un Master plan dell’idrogeno, utilizzando per questo scopo le rinnovabili, sia vento che sole, già insediate e quelle che, eventualmente, la Regione dovesse decidere di insediare. Un passaggio da negoziare con il governo italiano, ponendo le basi per la piena indipendenza energetica della Sardegna. L’esatto contrario di quanto previsto dal governo Draghi.

ESTERI

Nella vertenza Sardegna rientra anche una delicatissima partita di sovranità territoriale, in cui l’Italia deve decidere se restare succube o reagire. L’Algeria, a marzo del 2018, con un blitz alle Nazioni Unite, aveva istituito una Zona Economica Esclusiva occupando gran parte del mare davanti alla Sardegna occidentale, sino all’altezza di Bosa. Dopo le proteste il parlamento ha approvato una legge per l’istituzione di una propria zona esclusiva, dando mandato al Governo per delimitarla con un decreto da far controfirmare al Capo dello Stato. Draghi, su suggerimento dell’Eni, non ha fatto niente, consentendo che gli algerini andassero avanti con la loro occupazione. Se il Governo Meloni vorrà realmente riaffermare la sovranità territoriale del mare non ha altro da fare che istituire la zona economica esclusiva per consentire alla Sardegna di poter usufruire liberamente del mare davanti alle proprie coste.

INSULARITÀ

Uno dei capitoli più rilevanti del dossier Sardegna si chiama “Insularità”. Dopo l’inserimento della norma in Costituzione il Governo non può sottrarsi dall’attuazione della norma contenuta nella legge sul federalismo fiscale di cui il governo di centrodestra era stato peraltro artefice. Norma rimasta inattuata, nonostante l’art.22 della legge 42/2009 prevedesse, attraverso un decreto attuativo di una legge delega, la misurazione e la compensazione del divario insulare. Dunque, non servono ulteriori perdite di tempo: se il Governo vuole sanare questo vulnus insulare storico lo può fare, non facendo regali alla Sardegna, ma semplicemente restituendo il maltolto. In questa direzione la rinegoziazione del Pnrr costituisce un’occasione irrinunciabile per sanare quel divario strutturale e infrastrutturale legato all’insularità. In questo caso non ci sono nemmeno scuse sulla disponibilità delle risorse. Dai dati reali della Ragioneria dello Stato sta emergendo che nel 2022 il governo Draghi prevedeva una spesa totale di circa 29,4 miliardi di euro, in realtà ne ha spesi 13,2 in meno rispetto a quanto previsto.

INFRASTRUTTURE

Le infrastrutture sono il primo concreto riscontro del cambio di passo nel rapporto con il Governo. La spesa infrastrutturale è lenta, con ripercussioni plurime: le opere non si concludono mai, i costi aumentano, la mancata realizzazione costituisce un onere sociale ed economico rilevantissimo. I cantieri sardi sulle principali arterie viarie sono eterni. In questo caso il Governo potrebbe imprimere, attraverso un commissariamento ad hoc, un’accelerazione, con lavori su tre turni, h24, sette giorni su sette, sulla statale 131, in particolar modo gli svincoli, la 195, Cagliari – Pula, la 125, l’orientale sarda e la Sassari- Olbia. Da mettere in cantiere senza perdere altro tempo c’è la Olbia – Santa Teresa di Gallura, progettata nel 2003, e bloccata dal Ppr del 2006. Non più rinviabile anche la concreta accelerazione della rete ferroviaria sarda. Non servono solo nuovi treni, ma la modifica dei tracciati ferroviari, in particolar modo nel tratto Oristano- Sassari, realizzando il raddoppio dei binari per mettere la Sardegna alla pari delle altre regioni. Dai proclami bisogna passare agli stanziamenti reali anche per la realizzazione della rete ferroviaria Nuoro – Olbia e la dorsale stradale Oristano – Arbatax.

MEDITERRANEO

La Sardegna risulta sempre più baricentrica sul Mediterraneo. Il Porto Canale può favorire la centralità tra Gibilterra e Suez. Serve una seria e concreta determinazione dei Ministeri dei Trasporti e degli Esteri per individuare seri operatori internazionali per rimettere Cagliari al centro del Mediterraneo.

TRASPORTI

La questione trasporti è il primo vero banco di prova sull’insularità. Il Ministro può emanare un decreto per ripristinare la tariffa unica aerea, 365 giorni all’anno, a partire dalle rotte dalla Sardegna per Milano e Roma. Negarlo significherebbe cancellare alla radice il principio insulare. Ci sono i tempi e l’autorevolezza di un governo può imporlo alle compagnie. In questo quadro il Governo dovrà anche decidere se bloccare la nefasta privatizzazione dell’Aeroporto di Cagliari.

SERVITÙ

La questione delle servitù militari è atavica. Lo scacchiere internazionale non facilita la discussione. Di certo la Sardegna può pretendere bonifiche ambientali, restituzione di territori e patrimoni e la cessazione di esercitazioni che fanno dell’Isola un vero e proprio bersaglio militare.

ZONA FRANCA

Tutti l’hanno promessa in lungo e in largo. La Sardegna ne ha diritto sul piano del riequilibrio economico insulare. Non una Zes, ma una zona franca integrale che abbatta fiscalmente il divario che grava sulle imprese sarde. Non una zona franca per favorire interessi commerciali di altri stati, ma funzionali alla produzione in terra sarda.

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