Dallo stazzo di Antonia Orecchioni, a ridosso di Liscia di Vacca, alle Isole Cayman il passo è lungo sessant'anni. Dall'Aga Khan Karim all'emiro Al-Thani. Dalla punta di matita del Principe al bancomat del Qatar. Il miracolo della Sardegna turistica ripercorre le strade bianche di un angolo paradisiaco che in molti consideravano lande povere e desolate, intonse e selvaggiamente ricoperte da improduttivi fusti di ginepro e da graniti inespugnabili. Nemmeno la pastorizia, sostenevano i vecchi pastori, sarebbe stata capace di cavare qualche litro di latte da queste terre. Si sbagliavano. Il primo a rendersi conto di quella punta di diamante incastonata nell'isola incontaminata di Sardegna fu Giuseppe Mentasti, classe 1908, milanese, proprietario dell'Acqua San Pellegrino. Il 14 giugno 1959 il contratto di vendita dei primi 145 ettari si stipula nello stazzo di Liscia di Vacca. Vende la famiglia Orecchioni, compra il patron dell'acqua minerale per eccellenza. Il notaio, Mario Altea di Tempio, non li riceve nei grattacieli del gran ducato di Lussemburgo ma li raggiunge con una modesta utilitaria in quello sterrato promontorio davanti a quello che diverrà Porto Cervo.

La svolta del Principe

Quattro anni dopo, è il 1963, con l'arrivo propizio della primavera, sbarca nell'isola un giovanotto dal titolo altisonante, Principe Aga Khan Karim IV. La dinastia volle che fosse scavalcato il padre e che spettasse a lui guidare a vita il popolo ismaelita. Una distesa di 18 milioni di discepoli in tutto il mondo e un fiume di denaro da gestire. Ti aspetti un figlio di papà con la puzza sotto il naso, un ricco sfondato, smargiassone con macchine potenti e velieri da nababbi. E invece, no. Il giovane Karim ha 27 anni, la testa al posto giusto, lo sguardo lungo, l'orizzonte proiettato verso un sogno che molti giudicano visionario e irrealizzabile. Compra tutti quei terreni e disegna con la punta della matita quella che diverrà da lì a poco una delle più ardite intraprese economiche del Mediterraneo, forse del mondo. Mentre sugli altri versanti dell'isola si progettano raffinerie petrolifere, impianti chimici e industrie metallurgiche lui mette nero su bianco l'industria del turismo.

Non disegna un affare ma dipinge l'affresco di un sogno economico. Un sistema fondato sulla Sardegna, sulle sue inedite e irripetibili caratteristiche ambientali. Negli schizzi progettuali dei suoi architetti giunti da tutto il mondo chiede Sardegna e identità dei luoghi. Servivano strade e infrastrutture, alberghi e suite, porti e aeroporti. Persino una compagnia aerea. Nascono le attività collaterali, dalla ceramica sarda alla produzione di servizi di qualità. È la Costa Smeralda.

Un modello per lo sviluppo

Non un albergo ma un modello di sviluppo. Realizza molto, il Principe, ma non tutto. Ha le idee chiare anche per la fase due del suo piano di crescita. Se lo ripete e lo spiega a chi non lo ascolta: tutto questo non può vivere per pochi mesi all'anno. È il suo cruccio, martellante e irriverente anche al cospetto di un visionario come lui che aveva saputo realizzare di tutto e di più. Pianifica nuovi investimenti, immagina centri congressi, centri benessere, sportivi, progetta l'incoming verso le zone interne della Sardegna, quando ancora muoversi dal mare era un tabù. Ben presto, però, incontrerà sulla sua strada la politica, quella dei ricatti e dei condizionamenti. Il suo master plan verrà bocciato, senza appello. Non sbatte la porta, ma l'amarezza lo segna. Il suo resterà un sogno incompiuto. Quando l'incontro per la prima volta non mi riceve in un salotto ma nel "suo" studio d'architettura, nel cuore dello Yacht club della sua Porto Cervo. Un tavolo quadrato gigantesco, in legno. Le carte non sono rotoli ma affreschi. Schizzi fattisi arte, disegnati con la punta della matita e colorati con la grazia del pastello.

Una terra che merita rispetto

Me lo ribadisce più volte: per progettare in Sardegna serve la punta di una matita, il tratto leggero e non indelebile sul disegno. Un segno di grafite sul foglio che si deve adattare alla natura e non il contrario. Nel 1962, quando ancora non esisteva la valutazione di impatto ambientale, lui progetta alberghi e insediamenti salvaguardando corbezzoli e lentischi, esaltando graniti e paesaggi. Imponendo il calcolo del cono di visuale da mare e da terra. Eppure lo travolgono con l'accusa di voler cementificare, lui che aveva imposto al suo progetto l'impatto paesaggistico e ambientale quando ancora nessuno sapeva nemmeno cosa fosse. Lascia alla fine, il Principe. Arriva l'americano Tom Barrak, finanziere dell'era Bush. Compra il paradiso facendo debiti. Cerca di trattenere Karim per salvaguardare il brand reale della Costa Smeralda. Ma lui, il Principe poeta, non è interessato a condividere. Tiene l'Alisarda e poi Meridiana ma alla fine dinanzi all'incedere di un progetto che non condivide lascia anche l'ultimo dei suoi sogni.

Dalla punta di matita del sogno di Karim al bancomat del Qatar il passo è breve. Gli emiri sbancano la Costa Smeralda. Anche questa volta, come per il Mater Olbia, tutto avviene nelle segrete stanze dei palazzi del Gran Ducato di Lussemburgo. Partite finanziarie giocate su scatole cinesi che si inseguono per una transazione di 360 milioni di euro che si consuma nei paradisi fiscali il 2 aprile del 2012, con gli americani che lasciano debiti da pagare ma che guadagnano di fatto quasi il doppio di quanto avevano speso per comprare la Costa Smeralda dieci anni prima. Il Qatar, tra i debiti di Barrak da pagare e l'acquisto dell'immenso patrimonio, sborsa seicento (600) milioni di euro. Ci saranno indagini della Procura di Tempio. I conti si perdono tra i paradisi fiscali, dal Gran Ducato del Lussemburgo alle isole Kayman. Non succederà niente.

L'emiro subentra nel sogno che fu del Principe. Ora è la volta del bancomat del Qatar. L'emiro figlio è il dominus, dopo che il padre fece staccare il primo assegno al suo fondo sovrano per l'acquisto da mille e una notte.

A governare l'immenso patrimonio è ora la Smeralda Holding srl, socio unico è la Qatar Holding, braccio operativo di Qatar Investment Authority, uno dei fondi senza fondo più importanti al mondo con una capacità di investimento di oltre 250 miliardi di dollari.

Gli hotel, la Marina, il Golf club

In una sola società i mitici alberghi dell'Aga Khan, dal Romazzino al Pitrizza, dal Cervo al Cala di Volpe. E poi i prestigiosi bar, ristoranti e negozi, la Marina di Porto Cervo, il Cantiere Porto Cervo, il Pevero Golf Club. E poi duemila ettari intonsi. La slot machine del Qatar nell'ultimo bilancio depositato l'8 maggio scorso ha registrato un dividendo, tutto per il Qatar, di venti milioni di euro, ma è possibile che l'ultimo esercizio, quello del 2019, lo si chiuda a ben trenta milioni di utili. Rendimenti ancora stellari, nonostante la stagione sia rimasta di tre mesi o poco più. Al timone della governance sono rimasti sempre loro, gli uomini che da dieci anni governano la Costa Smeralda, dal finanziere americano all'emiro del Qatar. Dall'immarcescibile Franco Carraro, già sindaco di Roma e da sempre eminenza grigia dei poteri romani negli affari sardi di lobby mondiali e non solo, all'attuale amministratore delegato Mario Ferrero. Dalla visione strategica del Principe al condominio smeraldino è un passaggio segnato da una catastrofe su tutto: la fine della compagnia aerea.

Il fallimento di Air Italy

Il tracollo di Meridiana è la punta dell'icerberg di un business da bancomat: fa guadagnare molto ai ricchi del Qatar e fa perdere troppo alla Sardegna. A partire dai 1500 lavoratori di Meridiana messi sulla strada da una gestione dissennata della compagnia aerea che in un solo anno, per scelte tutte in capo al Qatar, ha perso la bellezza di 230 milioni di euro.

Non una compagnia aerea come le altre ma un vettore ideato e realizzato al servizio dello sviluppo turistico non solo della Costa Smeralda ma dell'intera isola. Una compagnia di volo in grado di mettere la Sardegna al centro del Mediterraneo. E del resto la strategia della compagnia è fallita proprio quando ha perso di vista la sua missione sardo-mediterranea. Significa limitare la visione dello sviluppo a investimenti di restyling per 120 milioni di euro nei prossimi 5 anni, come hanno annunciato gli amministratori della Costa Smeralda. Obiettivo riammodernare marciapiedi e suite. Troppo poco per la Sardegna. Così come appare azzardato chiedere nuove volumetrie per 550 mila metri cubi per realizzare quattro nuovi alberghi, 30 ville extra lusso e altre 90 definite normali, alle quali aggiungere la ristrutturazione e riqualificazione di 27 stazzi galluresi. Salvo poi chiedere a Goldman Sachs di valutare gli asset detenuti in Costa Smeralda, come riporta MilanoFinanza. Obiettivo minacciare la vendita se non si sbloccassero i nuovi progetti.

Si chiude una compagnia aerea e si pensa alle ville stellari, si usa la Sardegna come un bancomat da consumare, per tracciarne il futuro si vuole usare una ruspa piuttosto che la punta leggera e rispettosa di una matita. La lezione di Karim è rimasta inascoltata.

Mauro Pili

(Giornalista)
© Riproduzione riservata