Giovanni Falcone lo mise per iscritto in una delle sue memorabili intuizioni: per combattere la mafia bisogna seguire la traccia dei soldi. Per comprendere quello che sta realmente accadendo in Sardegna, nel silenzio assoluto, con i poteri di Roma sempre più proni verso le lobby energetiche italiane e internazionali, bisogna rifarsi alla massima del Giudice antimafia: per trovare i soldi bisogna seguire il vento, quello furioso che batte sull’Isola dei Nuraghi, da nord a sud, dal mare alle montagne.

Le tracce del vento

Il rischio, nel seguire le tracce voluminose dei soldi di Stato e del mai sobrio turbinio d’aria, è quello di incappare nel più pericoloso vortice della criminalità organizzata, quella capace di insinuarsi nei gangli dei colletti bianchi dell’energia rinnovabile. La mappa dell’assalto alla Sardegna è molto più che uno scacchiere d’affari e di potere, di relazioni politiche, finanziarie e tante altre, non sempre limpide e trasparenti. Ci sono aree grigie, società registrate nei paradisi fiscali, scatole cinesi e intrecci che già nel passato hanno fatto tremare le vene dei polsi.

Il boss dell’energia

Ci sono le relazioni a “luci rosse” tra il capo dei capi, quell’eterno boss latitante, Matteo Messina Denaro, e soggetti che in Sardegna hanno imperversato e che sotto mentite spoglie continuano a farlo. Tutti coinvolti nel vortice dorato delle pale eoliche, da Palermo al Sud Sardegna, passando per i parchi eolici sequestrati nel nord dell’Isola e attribuiti al circuito di “Eolo”, la holding ventosa del capo dei latitanti, l’erede in capo di Totò Riina, Provenzano e persino l’ex Sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Fu proprio l’operazione Eolo, guidata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, a mettere a nudo le operazioni “mafiose” dislocate anche in Sardegna, società registrate nel nord Italia, ma con saldi legami nelle due isole maggiori, come se gli affari del vento andassero consumati prima di tutto nelle Regioni insulari.

Le impronte nell’Isola

Fatti e misfatti legati alla prima ondata eolica, quella che dieci/quindici anni fa aveva stravolto porzioni intere dell’Isola, dal Meilogu al Campidano, passando per il Logudoro e il Cagliaritano. Ora, quello che si sta registrando in Sardegna, è un assalto decuplicato, pianificato da società legate a potenti apparati di Stato e non solo. Un dato, in questo scenario, è inquietante: alcune società che hanno presentato nuovi progetti, inseriti persino nel piano delle procedure Pnrr del Governo Draghi, hanno “connotati” riconducibili, per nomi e società, proprio a quelle inchieste dell’Antimafia. In questa vicenda, però, due episodi improvvisi si candidano a scardinare la penombra di questi affari. Entrambi si palesano in queste ultime giornate di luglio, il primo a Roma, il secondo a Cagliari. I fatti sono mitigati dalla prudenza e precauzione investigativa. In realtà loro, i protagonisti, sanno cosa si cela dietro quelle due mosse, tutte compiute sulla soglia dell’ardore ferragostano.

La traccia dei soldi

Il primo dei fatti passati sottotraccia si consuma nei palazzi della Capitale. A Roma si accomodano uno davanti all’altro due signori che, nella vita quotidiana, si occupano di questioni apparentemente ai poli opposti, uno di servizi energetici e l’altro di reati finanziari. Il primo è Giandomenico Manzo, Presidente della Cassa per i Servizi Energetici e Ambientali, quello che eroga i soldi di Stato ai signori del vento, il secondo è il Gen. Francesco Greco, il Capo di Stato Maggiore della Guardia di Finanza in persona. Quello da dirsi non lo racconteranno ai quattro venti, ma di sicuro le parole chiave dell’operazione sono circoscritte in quel poco che trapela: «prevenire e contrastare condotte lesive degli interessi economici e finanziari pubblici» connessi alle attività svolte dalla “cassaforte energetica di Stato” «prevedendo flussi di comunicazione, a favore della Guardia di Finanza, di dati, notizie, informazioni, segnalazioni su soggetti e/o contesti su cui convergano elementi sintomatici di rischio meritevoli di attenzione sotto il profilo della sicurezza economico-finanziaria».

La lezione di Falcone

In pratica la lezione di Giovanni Falcone: seguire i soldi per scovare gli affari di mafia. Il piano d’azione della Guardia di Finanzia rasenta un assetto militare per quella che non è una normale attività di routine. Non è caso, infatti, che a scendere in campo sarà «il Nucleo Speciale Spesa Pubblica e Repressione Frodi Comunitarie per gli aspetti operativi afferenti all’irregolare impiego delle risorse pubbliche destinate all’incentivazione e allo sviluppo di fonti energetiche alternative - e avvalendosi dei Reparti del Corpo dislocati sul territorio». Come dire, i soldi, quelli dell’eolico e del solare, vanno tracciati dal primo all’ultimo centesimo, vanno ricostruiti i flussi di cassa, dal vortice di miliardi di Stato alla miriade di società e scatole cinesi che già si “strafogano” di incentivi pubblici destinati a moltiplicarsi grazie all’ennesima strategia “foraggiatrice” del Governo di Roma verso l’eolico terrestre e offshore, passando per solare e agrifotovoltaico. In questa operazione c’è la premessa del secondo fatto, rilevante come non mai, ma, apparentemente, attribuito alla “malamovida” in salsa sarda. A sbarcare a Cagliari, il giorno prima della firma del protocollo d’intesa tra Finanza e Cassa Energia, era stato nientemeno che il Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese.

Sbarca la Dia

Non una visita a caso. Il vertice delle forze dell’ordine, blindato nelle stanze di Piazza Palazzo, nello storico “Viceregio” a Cagliari, doveva ricevere una comunicazione che in altri tempi sarebbe stata annoverata tra quelle da codice rosso. In realtà lo è, a tutti gli effetti, con una gravità, forse, solo sottaciuta per via del “generale estate”. L’istituzione a Cagliari di una sede della Dia, la Direzione Investigativa Antimafia, a partire da ottobre, è molto più di un messaggio cifrato. Dietro quella decisione ci sono almeno tre fattori scatenanti. Il primo: la decisione di nuclei della criminalità organizzata, camorra soprattutto, di trasformare la Sardegna in un hub per il traffico di droga. Il secondo:«un interesse ad intraprendere attività criminali da parte dei nuclei familiari dei detenuti mafiosi ristretti presso gli Istituti penitenziari dell’Isola, che si avvicinano ai loro congiunti per evitare il pendolarismo per ragioni di colloquio». Il terzo: trasformare la Sardegna nel cuore pulsante della criminalità organizzata per quanto riguarda lo sfruttamento delle energie rinnovabili. Non suggestioni, non semplici esternazioni, ma puntuali riscontri messi nero su bianco proprio dalla Direzione Investigativa Antimafia che, nell’ultima relazione appena trasmessa al Ministro dell’Interno, lo ha scritto senza mezzi termini nel “capitolo Sardegna”.

Allerta Antimafia

Ed è proprio sull’Isola che si concentra l’attenzione dell’Antimafia, un’allerta che sa di monito: «In ultimo, merita un accenno il progetto di investimenti nelle energie rinnovabili previsto dal Piano Energetico Ambientale Regionale, che riguarda la diversificazione delle fonti primarie di energia, riducendo il ricorso a quelle connesse con l’uso dei derivati fossili. Un ruolo di rilievo è affidato allo sviluppo delle risorse eoliche, settore da monitorare con attenzione, essendo esposto al riciclaggio di capitali illeciti e alla distrazione dei finanziamenti pubblici e comunitari». La nota della Dia prende in esame uno scenario ancora circoscritto al solo Piano Regionale sardo, non essendo ancora noto, al momento della stesura di quella relazione investigativa, il nuovo progetto coloniale di Stato che moltiplica all’ennesima potenza l’invasione eolica in Sardegna.

Moltiplicazione di pale

In pratica ai circa 2mila megawatt attuali, tra eolico e fotovoltaico, già insediati nell’Isola, si aggiungerebbero ben 15mila megawatt di eolico a mare e altri 2100 megawatt di nuovi insediamenti terrestri. La portata degli investimenti, e soprattutto degli incentivi, che ne consegue rappresenta un vero e proprio “attrattore” di affari poco limpidi, tutti giocati sulla testa della Sardegna. Era stato, del resto, il Procuratore Generale della Corte di Appello di Cagliari, nella relazione dell’anno giudiziario 2020, a scandirlo a chiare lettere: «Significative iniziative criminali hanno interessato il settore delle energie alternative, che ha trovato nella Sardegna un’area di elezione per l’insediamento di pale eoliche e impianti fotovoltaici».

L’attrazione eolica

Il Procuratore Generale ne spiega in maniera chiara appetiti e interessi: «Si tratta di iniziative attratte dai benefici economici e fiscali previsti dalla legge per incentivare lo sviluppo delle energie rinnovabili e profittando di una normativa caotica, in cui si intrecciano interventi dello Stato e della Regione che rispondono all’esigenza di favorire gli investimenti ma dovrebbero anche garantire la salvaguardia del territorio e del paesaggio, compagini criminose ben organizzate e diffuse anche in altre aree del territorio nazionale, hanno realizzato veri e propri impianti industriali per la produzione di energia sul falso presupposto che questa fosse destinata al servizio di attività agricole, in realtà mai intraprese...».

57 miliardi di euro

La gigantesca partita finanziaria che aleggia su questa invasione è scandita da cifre impressionanti: ogni megawatt di potenza è stimato possa valere un guadagno di 150 mila euro all’anno. I signori del vento e del sole, in un solo anno, in Sardegna, tra il nuovo e il vecchio, si porterebbero a casa la bellezza di due miliardi e 850 milioni di euro, tutti da moltiplicare per vent’anni almeno, tanto durano gli incentivi di Stato. Ne ha da vigilare l’Antimafia. Nei prossimi vent’anni, nell’Isola del vento e del sole, i Signori degli incentivi potrebbero intascare la ciclopica cifra di 57 miliardi di euro, quanto sei finanziarie della Regione sarda. Un affare con tante ombre e infiniti segreti, dai paradisi fiscali alle multinazionali del vento.

(3.continua)

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