Le imprese del variegato mondo del commercio in Sardegna sono 57729 (di cui 11420 dei servizi di ristorazione) e rappresentano il 12,2% del PIL isolano. Un numero importante sul totale delle imprese attive (143122) e del PIL regionale (13,9% industria, 6,1% turismo-ma senza l'indotto- 4,3% agricoltura, il restante è imputato all'economia dei servizi compresa la pubblica amministrazione) .

Ad oggi, fatta qualche eccezione per edicole, tabacchi, ottici, librerie e abbigliamento per bambini, sono tutte chiuse.

"Il danno determinato dall'emergenza sanitaria e dalla conseguente chiusura è incalcolabile soprattutto se si considera l'indotto occupazionale (15,5% del totale Sardegna). Oggi la maggior parte dei lavoratori del comparto è in cassa integrazione - dice Nando Faedda, Presidente di Confcommercio Sardegna. Le domande per la CIGD di cui all'art 22 del decreto Cura Italia erano, al 16 aprile 11225. Se non ci attiviamo quanto prima per la riapertura la chiusura definitiva di molti è ormai inevitabile".

L'associazione ha già manifestato questo grido di dolore alla Regione chiedendo immediatamente la riapertura di tutto il commercio al dettaglio, proseguendo, al più tardi dal 18 per bar, ristoranti, mercati rionali e grandi superfici di vendita.

Su queste categorie infatti sono necessari tempi un po' più lunghi per adottare le misure di sicurezza.

"Tutti i nostri esercenti ormai conoscono le circolari del ministero per la sanità sulla sanificazione, sanno cosa devono fare per gli accessi nei punti vendita come anche per il distanziamento sociale. I lavoratori sono in attesa di riprendere e sono disponibili a lavorare con i DPI, invitare i consumatori all'uso di gel sanificanti e pronti a collaborare per il contingentamento degli ingressi. Le imprese inoltre stanno valutando investimenti, anche importanti, per adottare ulteriori misure di sicurezza come le barriere parafiato e macchinari igienizzanti", afferma ancora il presidente dell'associazione di categoria.

"Non abbiamo limitazioni su misurare i capi e provare gli accessori, inoltre bisogna considerare che le famiglie in crisi per carenza di lavoro non hanno tutta questa fretta di spendere e ormai anche loro si sono abituate a distanziamento sociale, mascherine e guantini usa e getta. La riapertura è inoltre fondamentale anche per superare i cavilli burocratici previsti dalle norme e dagli istituti di credito per la concessione dei 25mila euro garantiti dalla Stato al 100% che tardano ad arrivare, la sospensione dei finanziamenti rateali o del mutuo anche della casa. Sono infatti molti i soci che ci segnalano serie difficoltà per ottenere l'applicazione delle misure previste per la loro salvaguardia", aggiunge.

"Fino ad ora gli aiuti dati, seppur lodevoli negli intenti sono insufficienti per far fronte ad un periodo di chiusura così lungo. Ottocento euro sono pochi per chiunque figuriamoci per le famiglie che vivono di commercio, chiuse dall’11 marzo. Attendiamo fiduciosi un'apertura anticipata rispetto alle misure imposte dal governo e i bandi a sostegno delle imprese, sperando vivamente che non si richieda lo stato in bonis si prevedano contributi a fondo perduto con procedure molto semplici, a sportello e senza il clik day", conclude Faedda.

(Unioneonline/F)

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