È un percorso a esaurimento quello che si profila per il Reddito di cittadinanza. I percettori abili al lavoro non andranno incontro a un’abolizione del sussidio ma è in arrivo una stretta “soft”. Si va verso “un sistema che incentivi  le persone a lavorare”, dice il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon. 

“Vogliamo solo dare una risposta diversa a chi può lavorare: dignità attraverso il lavoro. Il sussidio non può essere a vita. Va fissato un termine oltre il quale non si può andare, un po’ come con la Naspi”. Sempre secondo il sottosegretario “un percorso ‘ragionevole’ prevede, dopo i primi 18 mesi di Reddito, che si possa andare avanti al massimo per altri due anni e mezzo, ma con un décalage”.

Ma come funzionerebbe questa sistema? Dopo i primi 18 mesi, se la persona non ha trovato un impiego, viene sospesa dal sussidio e inserita per sei mesi in un percorso di politiche attive del lavoro. Per esempio, corsi di formazione adatti al suo profilo e alle richieste delle aziende. Percorso che, ha detto la premier Giorgia Meloni, potrebbe essere retribuito ricorrendo alle risorse del Fondo sociale europeo.

Sempre secondo Durigon, se dopo 6 mesi la persona è ancora senza lavoro, potrebbe ottenere di nuovo il Rdc, “ma con un importo tagliato del 25% e una durata ridotta a 12 mesi”, periodo in cui continuerebbe con la formazione. Se dopo questo periodo il beneficiario non ha trovato lavoro, verrà sospeso per altri sei mesi, dopo i quali potrà chiedere per l’ultima volta il Rdc. In questo caso il sussidio sarebbe previsto per solo sei mesi e per un importo decurtato di un ulteriore 25%, andando a ricevere la metà di quanto percepiva all’inizio. Se oggi si decade dal Reddito di cittadinanza rifiutando due offerte congrue di lavoro, con la riforma si dovrà dire addio ai sostegni dopo una sola rinuncia.

Durigon spiega che “verrebbe colpito da questa stretta un percettore su tre del Rdc”. Per potenziare le politiche attive verranno coinvolte maggiormente le agenzie private e rafforzati gli incentivi per chi riesce a collocare al lavoro gli interessati. Inoltre il sistema non dovrebbe più essere gestito centralmente dall’Inps ma sul territorio dai comuni. E ancora, “con la sospensione e il taglio del 25% del sussidio si potranno risparmiare circa 1,2 miliardi e alla fine del percorso, verranno economizzati almeno 3 miliardi su una spesa di circa 8 miliardi l’anno”.

I soldi rimasti in cassa a cosa serviranno? “Magari per rafforzare gli interventi verso i veri poveri e poi per introdurre Quota 41, cioè la possibilità di andare in pensione dopo 41 anni di lavoro”. Per la Lega è un cavallo di battaglia, ma il partito di Matteo Salvini sa che Quota 41 senza un limite di età non passerà mai. Per questo lavora a una nuova Quota 102: 41 anni di contributi più 61 di età. “Darebbe la possibilità di andare in pensione prima a una platea di circa 90mila lavoratori”, sottolinea il sottosegretario.

(Unioneonline/v.f.)

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