Dopo il sequestro di oltre 3.600 forme di formaggio in Toscana caccia ai furbetti del pecorino
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Chi ci difende dal pecorino taroccato? In attesa di conoscere nomi e cognomi dei destinatari del container di formaggi sequestrato nei giorni scorsi dalla Asl di Pistoia, mentre viaggiava sulla via tra la Romania e la Sardegna, si contano le crepe e i limiti del sistema di vigilanza sulle produzioni locali: mele marce all'interno della stessa filiera e consorzi di tutela che si ritrovano con le mani legate, spesso nell'impossibilità di intervenire in qualsiasi modo.
Se non fosse stato per il provvidenziale controllo della polizia stradale sulla A11, infatti, nulla avrebbe impedito agli acquirenti delle 3.640 forme - da cinque chili e mezzo ciascuna - di poterle trasformare "miracolosamente" in un pregiatissimo pecorino romano Dop, da indirizzare sui banchi della piccola distribuzione.
Poco importa se dimensioni, colore e soprattutto sapore non avrebbero combaciato con il prodotto originale. Una volta tagliato a spicchi, tutto si sarebbe probabilmente confuso, almeno agli occhi di un consumatore inesperto. «L'ultimo sequestro ha tanti punti oscuri, ma anche qualche inquietante certezza», ragiona il direttore regionale di Coldiretti, Luca Saba: «I prodotti sequestrati infatti non avevano alcun contrassegno, erano quindi sicuramente destinati a un caseificio che li avrebbe successivamente etichettati e commercializzati col proprio marchio».
Un'amara beffa quindi, oltre al danno economico, inferta da chi dovrebbe salvaguardare in ogni modo l'immagine del comparto lattiero-caseario isolano. Sui committenti della spedizione, tuttavia, nulla si sa. Per il momento.
La questura di Pistoia mantiene tuttora un riserbo assoluto, ma si fa più consistente il sospetto che possa ripetersi un caso analogo del 2012, quando una spedizione di pecorino dalla Romania commissionata da un'azienda sarda portò in piazza gli agricoltori e i pastori della Coldiretti, insieme alle associazioni dei consumatori di oltre duemila Comuni d'Italia.
Quella di una vendita sotto le mentite spoglie di pecorino romano è comunque solo un'ipotesi. Resta certo però che il pessimo stato di conservazione in cui è stato scoperto il formaggio avrebbe reso illegale la sua vendita in qualunque modalità. «Abbiamo chiesto alle autorità ogni dettaglio sulla confisca», garantisce Salvatore Palitta, presidente del Consorzio del Pecorino romano: «I documenti di trasporto descrivono il carico come formaggio da grattugia, confezionato in forme con un peso di poco superiore ai cinque chili, ben diverse quindi da quelle da almeno venti chili in cui il nostro pecorino deve obbligatoriamente essere prodotto. Non c'è quindi alcun riferimento diretto a una possibile contraffazione, il che non ci autorizza a intervenire».
La guerra contro i falsi pecorini ad ogni modo «si combatte in tutta la comunità europea», assicura Palitta, «abbiamo registrato il nostro marchio nelle agenzie doganali dei 28 Paesi membri e chiamiamo in causa puntualmente l'Ispettorato centrale della repressione frodi del ministero ogni qual volta il nome del pecorino romano viene utilizzato senza autorizzazione».
Luca Mascia