Più che pecore israeliane e francesi per la Sardegna saranno le “pecore di Troia”. Virgilio, l’antico poeta romano che declamò le qualità del millenario formaggio “Pecorino”, non avrebbe mai immaginato che il suo “cavallo di Troia”, raccontato nella sua celeberrima Eneide, avrebbe assunto, duemila anni dopo, le sembianze di una pecora nella terra dei Nuraghi.

Le “pecore di Troia”

Eppure, giovedì prossimo, alle 10.30 a Borore, 21 anni dopo il secondo millennio, un po’ in teleconferenza e un po’ di presenza, si dovrà decidere se far entrare o meno “le pecore di Troia” nel disciplinare del pecorino romano, ovvero nelle rigide regole per produrre il più celebre dei formaggi di Sardegna. Gianuario Falchi, uno dei leader della “Rivolta del latte” di due anni fa, non usa mezze parole: «E’ una trappola per far scomparire pecore e pastori sardi». Un grimaldello, messo nero su bianco in una proposta di modifica del disciplinare produttivo, da approvare nel silenzio del passaparola degli industriali del Pecorino Romano.

La protesta su whatsapp

Il testo delle modifiche, però, in queste ultime ore, è corso come un fulmine nei whatsapp dell’esercito delle campagne. Loro, che nelle pianure del Campidano o nelle pendici del Gennargentu ci vivono da sempre, sanno che quelle modifiche sono un vero e proprio agguato all’integrità del sistema lattiero caseario della Sardegna, ancora una volta messo a rischio dalla voracità di alcuni a scapito dell’intero settore produttivo. La sintesi di quanto sta accadendo è tutta in poche righe di un documento che prevede la modifica del disciplinare del Pecorino Romano Dop.

La trappola nel “Vangelo”

Tra le diverse modifiche al “Vangelo” per la produzione del più rinomato dei formaggi sardi ce n’è una che non lascia spazio a interpretazioni. All’articolo 14 è scritto: «E’ ammessa la presenza del 10% del latte ottenuto da razze diverse da quelle indicate, calcolato sul latte di massa annuale destinato alla produzione di Pecorino Romano Dop». E’ qui, su questa norma-trappola, che si insidia il rischio più grande per l’intero comparto lattiero caseario della Sardegna. Tradotto, significa che nel sistema produttivo del Pecorino Romano potranno essere introdotti 30 milioni di litri di latte di pecore diverse da quelle della “Razza sarda”, compresa la sub-popolazione “Nera di Arbus”. I pastori, però, non è facile incantarli, figuriamoci convincerli della bontà di una disposizione che, in realtà, finirebbe per metterli in disgrazia. Degli industriali a dire il vero non si sono mai fidati. Sanno perfettamente che nelle regole del mercato c’è una costante: chi produce il latte deve guadagnare poco, molto di più chi produce formaggio. Capiscono perfettamente cosa significa quel richiamo a “razze diverse”. Lo sanno, e comprendono, prima di chi ha ideato la “trappola”, che l’obiettivo è quello di introdurre in Sardegna razze ovine funzionali solo alla produzione intensiva, iniziando inesorabilmente a mettere fuori uso la “Razza Sarda”, capace di esprimere un livello qualitativo decisamente superiore a quelle “estere”. Tutti lo sanno, ma in pochi lo dicono.

Le straniere

Da qualche tempo, infatti, nello scenario zootecnico della Sardegna, qualcuno ha introdotto silenziosamente due razze “straniere”, le Lacuane, francesi, e le israeliane Assf. Un’operazione con un obiettivo sottotraccia: ridurre la produzione estensiva, ovvero su grandi areali di pascolo, per perseguirne una intensiva. Il risultato è scontato: un aumento di quantità di latte prodotto, tutto a scapito della qualità e delle peculiarità organolettiche del “Pecorino Romano” prodotto dai pastori sardi. Quel 10% è, dunque, il primo varco, non controllabile, non gestibile, nella già complicata, e per molti versi reticente, catena produttiva lattiero casearia della Sardegna. Da sempre è, infatti, quasi impossibile capire quanto latte viene prodotto e trasformato e quali sono le reali conseguenti produzioni casearie.

Il grimaldello

Quella proposta di nuova regola, secondo la quale il 10 per cento di latte può provenire da pecore “straniere”, lascia comprendere che si tratta di un vero e proprio “cavallo di Troia” che rischia di scardinare una catena produttiva che, dopo le proteste del 2018, ha rilanciato il mercato del “Pecorino Romano”. La proposta di modifica del disciplinare produttivo introduce, per la prima volta, le razze ovine che possono conferire il latte per la produzione del Pecorino Romano in Sardegna, nel Lazio e nella provincia di Grosseto.

Tracciabilità

L’elenco che si vuole inserire va nella direzione della tracciabilità della materia prima: insieme al luogo di pascolo e produzione si introduce anche la razza ovina. Nella modifica del disciplinare è previsto: «Per la produzione del latte destinato alla trasformazione in Pecorino Romano DOP le razze ovine ammesse, considerate come “tipi genetici riconducibili a razze locali e loro incroci” è la seguente: Razza Sarda, compresa la sub-popolazione Nera di Arbu, Razza Vissana, Razza Sopravissana, Razza Comisana, Razza Massese, Razza Pecora dell’Amiata».

Pronti alla guerra

E’ il capoverso successivo che fa dichiarare lo stato di guerra da parte dei pastori sardi. L’ipotesi che un dieci per cento venga prodotto da “pecore straniere”, di fatto sono stati già introdotti nell’Isola non meno di 20/30.000 capi di Lacuane e Assaf, francesi e israeliane, che puntano ad una produzione intensiva, lascia comprendere che l’obiettivo degli industriali è quello di aumentare la quantità a scapito della qualità. Tutto questo in contrasto con quanto hanno sostenuto gli stessi industriali che, per molto tempo, hanno accusato i pastori di produrre più latte del necessario, facendo saltare per colpa loro il mercato e abbattendo di fatto il prezzo dell’oro bianco.

La giravolta

Oggi, alla prova dei fatti, introdurre quella clausola del 10% di pecore “straniere” significa sconfessare quelle accuse e aprire, nel contempo, un vero e proprio varco per un fiume incontrollabile e incontrollato di latte. Gianuario Falchi e Nenneddu Sanna, che di quella drammatica protesta di tre anni fa sono stati tra i protagonisti, non ci stanno e lo denunciano senza mezzi termini: «Questa proposta, qualora venisse votata in assemblea, sarebbe la rovina dell’allevamento della pecora in Sardegna, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero».

Industriali & pastori

Lo scontro con gli industriali, ormai dominus del Consorzio, salvo le cooperative che dovrebbero rispondere ai pastori, è durissimo: «Nonostante il terrorismo dei vertici del Consorzio del Pecorino Romano, - sostengono i leader della protesta - volumi e quotazioni sono aumentate anche senza il Piano di Regolazione che è stato bocciato dai pastori e che, come prevedevamo, serviva solo a consolidare le posizioni dominanti di alcuni a scapito dell’intera filiera». Il rischio che si sta correndo secondo i pastori sardi è gravissimo: «Giusto per far notare la gravità della situazione, basterebbe guardare oltre confine e constatare quanto è avvenuto in Spagna in tempi recenti. L’introduzione massiccia della pecora israeliana Assaf, e la sua diffusione incontrollata, attraverso incroci di sostituzione con gli allevatori che si scambiavano gli arieti, stanno portando alla scomparsa delle razze locali con dirette conseguenze per le produzioni di origine protetta».

I mercati premiano

Tutto questo mentre i mercati stanno, invece, premiando la scelta di qualità imposta di fatto dalla protesta dei pastori sardi che hanno rivendicato una produzione legata alla filiera sarda, dalla razza ovina al benessere animale. Non è un caso che ieri la quotazione del Pecorino Romano sulla piazza di Milano oscillasse tra un minimo di 9,70 euro e 10 euro al chilo, mentre l’anno prima della “grande protesta” era, nello stesso mese, a 5,60 euro al chilo.

Prezzo del latte: il doppio

Un valore che ha consentito di raddoppiare il prezzo del latte rispetto al 2018, passando da 0,60 a 1,3 euro a litro. Oggi sul tavolo c’è una clamorosa inversione di rotta che punta a introdurre e favorire gli allevamenti intensivi, in totale contrasto con la storia economica e sociale dell’Isola. Significherebbe svuotare le campagne, avviare un processo di svuotamento della Sardegna, cancellando inesorabilmente quelle caratteristiche organolettiche che hanno da sempre costituito i punti di forza dei prodotti lattiero caseari della Sardegna.

Storicità delle razze

Nelle modifiche al disciplinare di produzione si attenta gravemente alla storicità delle razze, introducendo una variabile pericolosissima capace di stravolgere le attività umane connesse e le caratteristiche dell’allevamento, trasformandolo da estensivo o semi-estensivo a intensivo.

Organizzazioni tolleranti

Un rischio che non intravvedono alcune organizzazioni di categoria, Confagricoltura Sardegna, Cia Sardegna e Copagri Sardegna, che ieri, con una nota congiunta, hanno dichiarato che «ritengono che possa essere prevista una fisiologica tolleranza accidentale di latte proveniente da altre razze, in una minima percentuale indicata dall’assemblea dei soci del Consorzio».

Evitare la catastrofe

I pastori, però, non ci stanno. In pericolo c’è la più grande industria dell’Isola: «Non consentiremo ci siano cambi di rotta rispetto alle strategie individuate anche grazie a quella protesta. Dobbiamo scongiurare in ogni modo questa catastrofe». Per dirla con Virgilio, per salvare l’aroma e il gusto del Pecorino di Sardegna meglio non fidarsi delle “pecore di Troia”.

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