Usava le parole come un fioretto, l’ironia come un’arma letale. Emilio Lussu, il Capitano, amava farsi capire. In quelle austere quanto imponenti aule parlamentari la sua voce arguta e tagliente si stagliava tra i banchi dei nemici con aneddoti e similitudini brillanti.

Lussu, ne ha facoltà

E’ primavera inoltrata quando il Presidente dell’Assemblea Costituente pronuncia la fatidica frase:«E’ iscritto a parlare l’on. Lussu. Ne ha facoltà». L’ordine del giorno non è una festa per indipendentisti: «Progetto di Costituzione della Repubblica italiana». Sono le diciotto inoltrate del 29 maggio del 1947 quando Emilio Lussu prende la parola. Nel sacro testo della futura Costituzione c’è da difendere l’inserimento, nel nuovo assetto repubblicano, delle Autonomie speciali, quelle che teoricamente dovrebbero attribuire a Sardegna, Sicilia, Friuli Venezia Giulia, Val d’Aosta e Trentino i “vantaggi” necessari per riequilibrare i divari, geografici, culturali, infrastrutturali, sociali ed economici.

Sagace ironia

Lussu, in quello che diverrà uno dei suoi più fulgidi interventi parlamentari, farà appello a tutta la sua sagace ironia per demolire gli avversari e difendere quello che egli stesso non considera, comunque, il massimo risultato possibile. E’ realista e non si arrende: tenta sino all’ultimo di alzare l’asticella delle rivendicazioni autonomiste. Per far comprendere agli acerrimi nemici che la “concessione” della “Specialità” era “niente” rispetto al dovuto, staglia, alla volta della parte opposta dell’emisfero, l’affermazione che marchierà a fuoco il passaggio “pseudo federalista” della nascente Costituzione.

Leone & gatto

Lussu è severo e ironico: «Dico federalismo e non, come dovrei, autonomismo, per indulgere a quegli unitari che considerano questo nostro autonomismo come una sotto-specie del federalismo più o meno mascherato. Io dico francamente; vada pure per la sottospecie del federalismo; ma senza maschera. Queste nostre autonomie possono rientrare nella grande famiglia del Federalismo, così come il gatto rientra nella stessa famiglia del leone». Lo stenotipista parlamentare registra la frase esatta, immortalata nella storia dell’autonomia mancata e annota tra parentesi (si ride). E’ lungimirante il Capitano di Armungia, sa che quel parallelo felino suscita ironia, ma che rappresenta plasticamente la realtà. La storia gli darà ragione. Figuriamoci se avesse assistito all’ennesimo blitz di Stato compiuto venerdì scorso a tarda sera quando la “manina” vorace del Nord del Paese ha infilato in un documento chiave della programmazione del governo una postilla capace di sbancare le casse dello Stato e trasformare il “gatto” di Lussu in un ignaro “topo” destinato a scontato sacrificio.

Il treno del Nadef

Il nome del provvedimento non è un inno alla simpatia:«NADEF, Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2021». E’ lo strumento con il quale il governo trasmette al Parlamento il quadro economico del Paese dal quale si evincono i numeri per la nuova manovra di bilancio. Se i conti rilevati nella nota vanno bene, ci saranno più soldi, se vanno male saranno lacrime e sangue. Si tratta, dunque, di un documento chiave da cui discende la politica economica dell’esecutivo targato Draghi.

La “manina” vorace

E’ per quel motivo che la “manina” del Nord ha agito con la solita spavalda spregiudicatezza aggiungendo nelle ultime ore, prima della riunione deliberativa dei Ministri, una postilla che rischia di spazzar via per sempre l’Autonomia Speciale della Sardegna e non solo. Ventiquattro ore prima della seduta del Consiglio dei Ministri a Palazzo Chigi il testo del provvedimento, che riproduciamo tra i documenti, aveva come primo provvedimento collegato all’approvazione del Bilancio 2022-2024 quello relativo alla «legge quadro sulle disabilità». L’operazione congiunta e sotterranea, non dichiarata e subdola, assesta il “colpo” poco prima del voto dei ministri.

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Il “colpo” al primo punto

Al primo punto dei provvedimenti collegati al Bilancio compare di punto in bianco:«Disegno di Legge – Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata di cui all'articolo 116, comma 3, Cost.». In pratica il “golpe” del Nord che rivendica più autonomia, poteri e soprattutto soldi, molti soldi. Tutti da prelevare dal fondo del riequilibrio statale, quello che “sarebbe”, condizionale d’obbligo, dovuto servire a riequilibrare gli svantaggi tra le Regioni a Statuto Speciale e le Regioni Ordinarie. Il blitz è tanto pesante quanto silente. La nota di aggiornamento, modificata rispetto al testo originario, viene pubblicata per il fine settimana direttamente nel sito del Ministero del Tesoro. Palazzo Chigi ha lasciato le impronte digitali nel testo finale, ma ha preferito che il corpo dello scippo lo custodissero al ministero dei “soldi”, quello dell’Economia e Finanza. Del resto, quella norma da sottoporre al Parlamento, è tutta finanziaria. Con risvolti, però, pesanti sul piano costituzionale. Ciò che era stato scongiurato sino ad oggi, da quando i referendum di Veneto e Lombardia avevano rivendicato più autonomia e denari, ora rischia di trovare una via condivisa e trasversale proprio per la variegata composizione della maggioranza parlamentare.

La “differenziata”

La sintesi di quel provvedimento inserito con priorità uno nella nota di aggiornamento del Def è semplice: le tre regioni economicamente più forti del Paese chiedono un’autonomia “differenziata”, pure prevista dalle norme Costituzionali, ma che finirebbe per azzerare, cancellare e sovrastare la già flebile “autonomia del gatto” che farebbe la pessima fine di essere letteralmente cancellata dal ruggito del “leone del Nord”. A questo punto, però, si aggiunge un vulnus costituzionale senza precedenti. In pratica, con una legge ordinaria, si cancellerebbe il disposto dell’art.116 della Costituzione che prevede una “specialità” riservata alle regioni di confine e insulari.

“Vantaggio” azzerato

Quel “vantaggio” riconosciuto costituzionalmente finirebbe per essere azzerato e surclassato dal riconoscimento di maggiori poteri e più risorse alle regioni del Nord. Verrebbe meno quel differenziale che i Costituenti, con tutti i limiti richiamati da Lussu, avevano riconosciuto alle Regioni Speciali, a partire dalla Sardegna, l’unica a subire il peso misurabile dell’insularità in termini di sviluppo economico, infrastrutture, diritti e poteri. Se le Regioni del Nord faranno dieci passi avanti, le Regioni speciali, la Sardegna per prima, saranno raggiunte e ancor più surclassate, in termini di poteri e risorse, cancellando quel differenziale costituzionale che avrebbe dovuto contribuire a riequilibrare i divari.

Draghi docet

La decisione del governo Draghi di avvallare di fatto l’autonomia differenziata per tre regioni del nord, la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna è l’inizio della fine dell’Autonomia Sarda e dell’ambizione costituente di fornire alle Specialità regionali maggiore forza per tentare di alleviare il gap con le Regioni ordinarie. La “manina” che ha introdotto quel provvedimento tra i collegati al Bilancio dello Stato sa bene che la congiuntura politica e istituzionale è quella più favorevole: Draghi è punto d’incontro tra poteri forti e maggioranze trasversali, dunque, quello più adatto per proporre la forzatura costituzionale che azzera di fatto le specialità autonomistiche. Il risultato è scontato: non solo le differenze e i divari tra Regioni Speciali e Ordinarie non si assottiglieranno ma, con questo vero e proprio blitz d’autunno, diverranno irrecuperabili e insanabili. Basti pensare alle risorse che confluiranno in uno dei punti cardini del futuro: la scuola. Gli effetti saranno dirompenti: le “Regioni–Stato” del nord a cui venisse riconosciuta l’autonomia differenziata avranno poteri assoluti e fondi necessari per una scuola di livello superiore.

Scuola in retromarcia

La Sardegna, in questo quadro, avrà un'istruzione sempre più povera, con una scuola sempre più inadeguata. I medici più preparati saranno al Nord, a scapito di università povere collocate in Sardegna e nelle Regioni deboli. Il rischio è concreto: una scuola che formerà meglio al nord piuttosto che al sud. Una parte del Paese, il Nord, con la sesta marcia e un’altra, la Sardegna e la sua insularità, solo con la retromarcia. Il principio discriminante sarà rafforzato sempre di più nella sanità, quella di seria A al nord, quella più scadente sempre nell’Isola dei Nuraghi e al Sud, come per i trasporti e le infrastrutture. In Lombardia e in Veneto si stanno progettando strade a 8 corsie, in Sardegna e al Sud molte arterie primarie sono ad una corsia e mezza e persino mulattiere.

Addio “specialità”

Tutto questo con un ulteriore elemento discriminante nei confronti della Sardegna che rischia di essere penalizzata doppiamente: le ragioni della “specialità” dell’Isola, rispetto a tutte le altre quattro regioni speciali (Sicilia, Friuli, Val d’Aosta e Trentino), hanno ragione d’esistere proprio perché la Sardegna è territorio di confine ma anche, e soprattutto, perché si tratta di un’Isola, per giunta ultraperiferica. Un tema che, seppur con tutti i limiti, i padri costituenti, anche sotto la spinta di uomini della caratura di Emilio Lussu, avevano cercato di riconoscere come diritti costituzionali e che oggi, invece, rischiano di essere cancellati con un colpo di spugna trasversale attraverso una legge ordinaria.

Diritti, non favori

In ballo non ci sono favori, ma il riconoscimento di diritti sacrosanti della Sardegna che, come si vede, evidentemente, dai trasporti all’energia, non fanno parte dell’agenda dello Stato. Anziché fare un passo avanti rispetto a tutti per recuperare divari e svantaggi, la Sardegna con questo blitz rischia di essere sacrificata sull’altare dei poteri forti e delle Regioni del nord. Il “gatto” di Lussu, al cospetto del leone del nord, ora rischia di fare la fine del topo, schiacciato dagli interessi e dall’ingordigia di Stato.

Mauro Pili

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