Sulla rotta di Sant’Efisio sbarca l’alta finanza. Quella mondiale, potente, infinitamente capace di decidere le sorti di governi, affondare economie o, di punto in bianco, impossessarsene. La grande regia sull’assalto eolico al Golfo degli Angeli è una partita che si gioca sulla testa della Sardegna direttamente dai grattacieli di Manhattan. Quella che poteva sembrare l’ennesima boutade speculativa sul mare sardo è, in realtà, tutt’altro. Una catena infinita di incroci societari e finanziari, politici e istituzionali, che sta facendo emergere un’operazione pianificata da tempo, ufficializzata nei registri notarili subito dopo l’avvento a Palazzo Chigi di Mario Draghi, l’italiano più vicino al grande circuito mondiale della finanza. Un’ascesa inneggiata dalle più grandi banche al mondo e accompagnata da due uomini di strettissima fiducia del nuovo premier: Roberto Cingolani, trasferito dalla potentissima “Leonardo”, quella delle armi di Stato, al Ministero della Transizione Ecologica e Vittorio Colao, uno di casa nelle potenti lobby mondiali, nominato Ministro dell’Innovazione Tecnologica. Due dicasteri e un premier con in pugno le più imponenti risorse del Recovery Plan. Una partita da 209 miliardi di euro destinati, apparentemente, al Piano di Rinascita economico del Bel Paese.

I tasselli del vento

I tasselli che emergono ora dopo ora, in seguito alla pubblicazione sull’Unione Sarda dell’inchiesta sull’assalto eolico alla costa cagliaritana, sono tutti da “piani alti”. Alcuni socchiusi nelle scatole cinesi delle società costituite ad hoc per la grande operazione dell’eolico nel mare sardo, altre riservate alle stanze vietate delle Borse internazionali. Di certo a fine marzo del 2021, in piena pandemia, appena 40 giorni dall’insediamento di Draghi a Palazzo Chigi e di Cingolani al Ministero della Transizione Ecologica, giuramento il 13 febbraio del 2021, si registra un via vai senza precedenti nella dimora milanese del notaio Giulio Della Croce, chiamato a costituire in quattro e quattr’otto una miriade di società con un unico scopo: disseminare il mare del sud Italia, quello sardo soprattutto, e più di tutti, di ciclopiche pale eoliche galleggianti. E’ il 25 marzo del 2021. Stipula l’atto Giovanni Stucchi con delega di Procuratore in nome e per conto della più potente famiglia dell’acciaio italiano. La società che nasce ha un nome inequivocabile: “Falck Renewables Nora”, società a responsabilità limitata, appena diecimila euro di capitale sociale interamente versato sul conto dedicato della Banca Popolare di Sondrio. Hanno le idee chiare i signori Falck, il nome della società è tutto un programma: impossessarsi dello specchio acqueo davanti alle antiche vestigia fenicio puniche sulla costa di Pula. L’oggetto sociale dichiarato è la conferma della grande operazione: «Sviluppo, promozione e realizzazione di nuove iniziative industriali, ivi compresi i progetti offshore».

Via Crucis di pale

Non c’è scritto ancora esplicitamente, ma l’obiettivo è trasformare il cammino di Sant’Efis, da Cagliari a Nora, in una via crucis di pale eoliche da disseminare lungo tutta la costa cagliaritana, ampliando il calvario paesaggistico - ambientale fin verso Capo Carbonara. I documenti notarili tacciono per qualche mese. Il cappello sul mare sardo è posizionato, quell’atto registrato con tutti i crismi della certificazione societaria è secretato nella cassaforte di famiglia, come se la corsa ad accaparrarsi quel tratto di mare fosse una sfida contro il tempo. Negli stessi giorni, sempre lo stesso notaio, ne registra altre quattro di società analoghe, con i nomi più disparati, ma non direttamente riconducibili alla Sardegna. Le manovre di avvicinamento alla costa sarda hanno un sussulto in piena estate.

Nasce “Nora Ventu”

E’ il 16 luglio del 2021 quando si riunisce un consiglio di amministrazione di una società che, nel frattempo, ha già cambiato nome, da “Falck Renewables Nora” a “Nora Ventu”, traduzione eolica di vento forse ispirata da Paolo Rundeddu, il capo finanziario del Gruppo Falck. Sparisce, dunque, il riferimento diretto alla società capogruppo e si affacciano sul proscenio di Nora gli spagnoli della Blue Float Energy. Sono loro che sbarcano nel piano sardo direttamente con il numero uno del gruppo di Madrid, quel Carlos Martin Rivals, che della compagine spagnola è l’amministratore delegato. Alla vigilia di agosto si spartiscono le quote, 50% per uno, e alzano la soglia delle firme di pagamento. La partita entra nel vivo. C’è da mettere in campo un’operazione su larga scala per mettere le mani su gran parte del vento di mare che soffia in Sardegna e non solo. Le mire sono altisonanti: puntano su Cagliari, Golfo degli Angeli e su Olbia, nell’insenatura tra Golfo Aranci e la spiaggia di Pittulongu. Sanno perfettamente che la finanza mondiale li sta osservando. Del resto basta un semplice calcolo per capire di quale entità finanziaria si sta parlando: costruire un parco eolico a mare come quello pianificato nella costa di Cagliari, 93 pale per quasi 1.400 megawatt, costa circa 4 miliardi di euro.

“Regalo” da tre miliardi

Un tale quantitativo di energia eolica, prodotta con pali a terra, produrrebbe guadagni intorno ai 250 mila euro per megawatt all’anno. Se quel parametro venisse applicato, al ribasso, anche all’energia eolica a mare, significherebbe che il solo impianto nel Golfo degli Angeli si porterebbe a casa la bellezza di almeno 350 milioni di euro all’anno. In tutte le dichiarazioni pubbliche, però, si è più volte sostenuto che gli incentivi per le pale eoliche galleggianti saranno notevolmente superiori a quelli terrestri. Un investimento di quell’entità si calcola possa essere ammortizzato in 20 anni, quindi, con un rateo annuale di 200 milioni di euro circa, si ripagherebbero i 4 miliardi del costo di realizzazione e “resterebbe” un guadagno ben superiore a 150 milioni all’anno, che moltiplicati per 20 anni porterebbero ad un rendimento complessivo superiore ai 3 miliardi di euro. Ovviamente, di tutto questo, non resterebbe assolutamente niente, né alla Sardegna, tantomeno ai sardi. Costretti a pagare, semmai, questi incentivi attraverso le carissime bollette dell’energia elettrica, sovraccaricate da oneri di sistema e dalla mancanza del metano.

Lo sbarco di Manhattan.

Chi, invece, traguarda il progetto di invasione del mare sardo sono i business-man della grande finanza mondiale. Nelle loro pupille ruota vorticosamente il dollaro del Golfo degli Angeli. Ad aver “puntato” l’operazione offshore della Sardegna è il colosso mondiale della JPMorgan che sta mettendo in campo uno dei suoi fondi internazionali più potenti, l’Infrastructure Investment Fund, che il 24 febbraio prossimo firmerà il “clousing” per portarsi a casa il 60% della Falck Renewables, la capogruppo della “Nora Ventu”. Si tratta di un fondo di investimenti in infrastrutture direttamente connessa alla più grande banca statunitense di servizi finanziari. Sino ad oggi gli americani della J.P.Morgan hanno investito oltre 3 miliardi di dollari in progetti di energia rinnovabile nel mondo, per una capacità di 4.800 megawatt. Un colosso da far invidia agli scalatori dell’economia greca, rasa al suolo dalla finanza mondiale. Infrastructure Investment Fund, secondo l’ultimo report, ha un valore netto del patrimonio di 12,4 miliardi di dollari e un portfolio di diciassette compagnie (per un totale di 541 asset) in ventidue paesi.

Niente colpo di fulmine

Lo sbarco nel mare sardo non è, però, un colpo di fulmine e, del resto, è risaputo: questi fondi finanziari non si innamorano mai. Per loro vale solo una regola: il guadagno a piene mani, rendimento e affari. Con una differenza rispetto ad un fondo tradizionale: JPMorgan decide la finanza mondiale, incide sulle scelte dei governi e dei tavoli che contano. Non è un caso che alla vigilia dell’indicazione di Mario Draghi alla guida di Palazzo Chigi, sia sceso in campo il numero uno mondiale della JPMorgan, Jamie Dimon. Le sue parole non sono una profezia: “L’Italia sta attraversando una fase di rinnovata espansione economica e trarrà vantaggi dalla leadership eccezionale del premier Draghi”. Un endorsement non disinteressato del capo supremo di una delle più grandi banche al mondo: "Ritengo che questo sia il momento giusto per avere fiducia e investire nel vostro paese. L'Italia trarrà ulteriore beneficio dal Recovery fund che, se utilizzato in modo efficiente, contribuirà ad accelerare la crescita economica”. Il messaggio è chiaro: ci sono i soldi per le rinnovabili, li dovete spendere e in fretta.

Il “miracolo” di Draghi

E noi, gli americani di New York, siamo qui per guadagnare a piene mani. Un piano quello dell’eolico offshore che arriva da lontano, con lo Stato italiano, quello governato da Mario Draghi, Roberto Cingolani e Vittorio Colao, che gode di un sostegno, non proprio disinteressato, di gran parte del mondo finanziario mondiale. Nel Golfo degli Angeli, sul cammino di Sant’Efisio, tutto è pronto per lo sbarco a stelle e strisce. Manca solo il decreto di Draghi per il commissariamento della Sardegna: sarà il "miracolo” italiano a favore degli americani & soci. Sant’Efisio permettendo.

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