Un filosofo del diritto, allievo di Guido Rossi, Massimo Cacciari e Enzo Bianchi, che scrive un libro sulle “supply chains” e sui protagonisti della guerra che potrebbe modificare gli equilibri del mondo. Alessandro Aresu, cagliaritano, consigliere scientifico della rivista “Limes”, ha fatto parte dello staff del premier Draghi. «Lavoro - chiarisce - anche con l’attuale governo su università, ricerca, tecnologia». Il volume “Il dominio del XXI secolo. Cina, Stati Uniti e la guerra invisibile sulla tecnologia”, pubblicato da Feltrinelli, è nato e si è sviluppato sotto il sole del Poetto, nel chiosco Palm Beach, davanti al Golfo degli Angeli. Un luogo del cuore che ha ispirato l’autore.

«Risiedo in Sardegna e ci torno ogni volta che posso, perché mi piace scrivere e ragionare in spiaggia, di fronte al mare. Nell’Isola si può fare in quasi tutti i mesi dell’anno. Però manca qualcosa. Vorrei vedere al Poetto alcune pasticcerie artigianali». Nella sua casa romana invece non manca mai un prodotto tipico: «Mi piace preparare i piatti della nostra tradizione in particolare quelli con la bottarga».

Che cosa sono le supply chains?

«Sono i sistemi che coinvolgono decine, centinaia, migliaia di imprese per giungere ai prodotti finiti così comuni nelle nostre vite: le automobili, gli smartphone, gli elettrodomestici e così via. Efficienza economica e sviluppo tecnologico hanno portato alla loro diffusione su una scala internazionale sempre più ampia, ma la sicurezza nazionale porta al loro ripensamento».

Lei richiama il concetto di volo di Miyazaki. L’alta tecnologia ha una natura ambigua. Può essere perfida e distruttiva. Per quale motivo?

«Come nell’esempio fatto da Miyazaki, un aereo può essere sia civile che militare. Ovvero, un oggetto bello, con un design elegante, può essere usato anche per uccidere. Come un drone, un algoritmo o un sistema operativo. Quasi tutta l’alta tecnologia vede l’intreccio tra sistemi civili e militari. Non a caso anche l’ex capo di Google Eric Schmidt ha detto che, oltre un certo livello, tutte le tecnologie hanno un aspetto duale».

Gli scenari del mondo sono ora dominati, proprio come lei scrive nel libro, dal conflitto tra Stati Uniti e Cina. Una guerra invisibile. Con quali caratteristiche?

«Il termine “invisibile” identifica due cose. In primo luogo, quello che non vediamo a occhio nudo. Tutta la nostra vita digitale, compresa la conversazione tra noi due, dipende dall’evoluzione della microelettronica, senza la quale non può esistere. Quindi la guerra tra Stati Uniti e Cina riguarda il controllo di processi e tecnologie invisibili: l’incisione al plasma, la litografia ultravioletta estrema e molte altre cose che ci sembrano assurde. In secondo luogo, ciò che è invisibile perché sottovalutato: aziende o uomini che quasi nessuno conosce, ma che determinano la direzione del mondo».

È il caso di Morris Chang?

«Il Messi dei microchip, con qualche anno in più: ha 91 anni. È uno degli imprenditori più importanti della storia dell’umanità. Ha reso infatti Taiwan il centro della microelettronica, con un ecosistema perfetto di organizzazione e comunicazione tra università, centri di ricerca e clienti. Purtroppo è vittima del suo stesso successo, perché il mondo non può essere così dipendente da Taiwan, che ha uno status politico incerto».

Qual è e quale sarà il ruolo dell’Europa?

«In Europa ci sono alcune aziende eccezionali. Per esempio, nel libro cito ASML e Zeiss, nei Paesi Bassi e in Germania. L’Europa non è però un vero attore politico e le sue risposte sono limitate rispetto alle strategie di attori come Stati Uniti e Cina. In un momento di competizione accesa come quella attuale, la macchina europea è lenta e con passaggi burocratici ridondanti, che frenano l’innovazione».

In un mondo dominato dalla tecnologia l’uomo che cosa può fare?

«Studiarla. La tecnologia è una produzione umana e non è mai estranea all’umanità. Poiché deve essere compresa, penso che la cosa più importante da fare sia costruire adeguati strumenti, e quindi aumentare la cultura scientifica, anche studiando la storia degli scienziati e delle loro idee. Sto leggendo in questi giorni il bellissimo libro di Giorgio Parisi, lo consiglio a tutti».

Lo sviluppo tecnologico può avere sviluppi indesiderati?

«Non vedo un pericolo imminente della tecnologia che si “ribella”, uno scenario tipo Terminator. È più importante, per ogni comunità, accompagnare lo sviluppo tecnologico, creare e supportare aziende rilevanti. Secondo me, sbaglia chi pensa che prima dobbiamo regolamentare la tecnologia e poi pensare allo sviluppo, come a volte fanno le istituzioni europee».

Come finirà la guerra tra Stati Uniti e Cina?

«Lo scopriremo tra qualche decennio. La Cina è in difficoltà per vari fattori: il rallentamento dell’economia, l’equilibrio tra ideologia e sviluppo tecnologico, il rapporto con i vicini, la questione demografica».

Un filosofo del diritto che si cimenta con la geopolitica. Quando è nato questo interesse?

«Da più di 15 anni. Nei miei studi di filosofia ho conosciuto Lucio Caracciolo. Studiare le “supply chains” è una naturale evoluzione del mio lavoro di ricerca. I temi che mi interessano, e che determinano la competizione internazionale e il rapporto tra economia e sicurezza nazionale di cui mi sono occupato a lungo, sono legati allo sviluppo tecnologico. Se non si studiano queste cose, si fanno discorsi astratti».

Massimiliano Rais

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