Uno dei romanzi gialli più originali degli ultimi anni è stato sicuramente La parrucchiera di Pizzuta, in cui, nel 2017, ha fatto il suo esordio sulla scena del noir la filologa Rosa Lentini. Una filologa irresistibilmente ficcanaso che assieme alla sua arzilla madre Evelina e a un comandante dei carabinieri balbuziente di nome Drago forma un trio investigativo tanto bizzarro quanto capace di finissime intuizioni. A cinque anni di distanza dal primo romanzo Rosa Lentini torna in libreria con una nuova avventura dal titolo che è già tutto un programma: Ragazze troppo curiose (Bompiani, 2022, Euro 17,00, pp. 240. Anche Ebook). Al centro del romanzo una storia che parte da lontano.

Una sera di ottobre del 1974 la giovane giornalista Wanda Girlando viene uccisa a Ortigia. La sua morte sembra legata a quella di un antiquario nostalgico del Ventennio, ma sulla vicenda cala il silenzio. Una sera di aprile dei nostri giorni, Rosa Lentini annuncia a sua madre Evelina l’intenzione di prendere un nuovo anno di aspettativa e trasferirsi nell’amata casa di Pizzuta, in Sicilia. Da Pizzuta, infatti, si è fatto vivo l’oramai ex comandante dei carabinieri Drago che chiede il loro aiuto per riaprire il caso della morte di Wanda. Così, Rosa ed Evelina, coppia di investigatrici sui generis, si mettono al lavoro… e i risultati non tarderanno ad arrivare. All’autore del romanzo, Nino Motta (pseudonimo con cui l’inviato del Corriere della Sera Paolo Di Stefano firma le vicende di Rosa Lentini) chiediamo prima di tutto come nasce la scelta di una coppia di investigatrici, madre e figlia: “Ho sempre pensato che la collaborazione stretta tra generazioni diverse possa produrre risultati straordinari. Qui il rapporto tra Rosa ed Evelina ha delle sfumature ironiche, perché è la figlia che insegna alla madre e non viceversa, ma la madre ottantenne si mostra disponibilissima a imparare e molto curiosa delle tecniche che mette in opera la filologia per studiare le opere letterarie antiche e moderne. Direi che si tratta di una relazione simbiotica, tra madre e figlia, spesso anche di un gioco delle parti che si risolve in una collaborazione molto fruttuosa. A volte è la filologa Rosa a trovare la strada giusta e a trascinare le indagini, a volte, inaspettatamente, è la vecchia Evelina ad avere delle intuizioni sorprendenti e a mostrare curiosità e coraggio”.

In cosa si somigliano arte investigativa e filologia?

“Sia l’investigazione poliziesca sia la filologia richiedono la ricerca di testimonianze, confronti, prove documentarie, l’individuazione e l’analisi degli indizi eccetera. Tanti filologi hanno maturato l’idea della ricerca come percorso poliziesco, a cominciare da una mia professoressa che si chiamava Maria Corti, definita da Umberto Eco una Sherlock Holmes degli studi letterari. La mia protagonista Rosa Lentini lo sa e mette a frutto i suoi metodi per risolvere casi freddi per cui servono gli stessi strumenti che il filologo con termini tecnici chiama recensio, collatio, lectio facilior e lectio difficilior, ‘codice descritto’, ‘contaminazione’, ‘congettura’, che è il l’arte di ricostruire e interpretare i testi. Io ho studiato filologia romanza e ho conservato una grande passione per le edizioni critiche che restaurano i testi antichi e che considero una lettura trascinante come e a volte più di un romanzo giallo”. 

Il titolo del libro è “Ragazze troppo curiose”... perché “troppo”?

“Diversi personaggi femminili, a differenza dei tanti maschili, nel mio romanzo sono nettamente positivi, anche quando magari manifestano qua e là delle zone d’ombra. Sono personaggi che non si fermano di fronte agli ostacoli posti dagli uomini, li affrontano o li aggirano con strategie intelligenti. Il coraggio è delle donne, innanzitutto Rosa e sua madre Evelina, che utilizzano la loro curiositas cioè la loro voglia di conoscenza e di giustizia per andare fino in fondo nella ricerca della verità. L’avverbio ‘troppo’ nel titolo ha un significato duplice: da una parte è un sinonimo di ‘molto’ usato spesso ironicamente nei dialetti meridionali – ‘sei troppo forte’, ‘è troppo bella…’- per formare i superlativi. Dall’altra parte denota un eccesso: ‘troppo curiose’ perché superano il limite consentito della curiosità, al punto da mettere in crisi i criminali pagandone tragicamente le spese con la vita. Ci sono due personaggi in particolare che probabilmente finiscono male per la loro ‘eccessiva’ curiosità e per il loro coraggio messo in moto per risolvere il mistero: sono Teresa e Melina”. 

La curiosità è femmina come nel proverbio?

“Il proverbio forse ha una sfumatura misogina e usa il termine curiosità come sinonimo di pettegolezzo. Ma la curiosità è tutt’altro che la maldicenza ed è strettamente legato con il coraggio.

Cos'è, a suo parere, la curiosità?

Quando penso alla curiosità, penso all’Ulisse raccontato da Dante nel XXVI canto dell’Inferno, dove l’eroe greco dice ai suoi per spronarli: «Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza». Ulisse esprime l’esigenza di affrontare ogni difficoltà in nome della curiosità intellettuale, invita i suoi compagni a non risparmiarsi, ad accendere quel desiderio, tipico dell’essere umano, di conoscere il mondo al di là di ogni confine, li invita a spingersi oltre, fino cioè a rischiare la propria vita. La pienezza e la felicità dell’uomo stanno proprio in questo: nel cercare il bene e la verità a ogni costo. È il contrario della viltà e dell’opportunismo. L’ammirazione di Dante per Ulisse ha come oggetto questa nobile sete di sapere, anche se secondo i canoni della cultura cattolica si trattò di un ‘folle volo’, da condannare. Ecco, la curiosità è una virtù spesso trasgressiva e scomoda che troverà sempre ostacoli ma che permetterà sempre al mondo di andare avanti”. 

La copertina
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