Non si può fare la rivoluzione a Carnevale. In quel giorno la gente ha voglia di divertirsi, non certo di tirar su barricate e scambiarsi fucilate. Succede così che la rivolta organizzata a Milano dai mazziniani nel febbraio 1853 finisca in un disastro e che si risolva in un "si salvi chi può!". Tra chi cerca di mettersi in salvo troviamo Ernesto Giudici, buona famiglia alle spalle e vocazione patriottica nell’animo, e Cesco Esposito, panettiere, repubblicano e napoletano doc. Sono questi i due personaggi da cui prende il via il coinvolgente Quel blu di Genova (La nave di Teseo, 2020, Euro 16, pp. 208. Anche Ebook), romanzo corale di Michele Mozzati, conosciuto al grande pubblico per il duo Gino & Michele a cui dobbiamo tra l’altro Zelig e Smemoranda.

Ma, tornando al libro, a Ernesto e Cesco si unisce ben presto Cielo, all’anagrafe Maria Celeste Sommariva, dai capelli neri come cozze e la pelle diafana come un Cristo Velato. Sarà lei a trarli in salvo, a farli innamorare, legandoli a sé per tutta la vita, e a spingerli a partire per l’America con un carico di denim, quel blu di Genova che dà il titolo al libro e da cui Levi Strauss ricaverà i primi blue-jeans.

Insomma, una vicenda in cui non mancano avventura, colpi di scena, passioni e ardori quella raccontata da Michele Mozzati, al quale chiediamo prima di tutto perché ha scelto l’età risorgimentale, ultimamente poco frequentata dalla narrativa, per ambientare la sua storia: "Lo spunto da cui nasce il libro è personale. In famiglia, quando ero bambino e ragazzo, circolavano i libri che il Comune di Milano solitamente regalava ai suoi dipendenti. Erano libri fuori commercio e dedicati alla storia del capoluogo meneghino. Mi piacevano, un po’ perché erano una cosa esclusiva, che non tutti avevano, un po’ perché vi trovavi storie, aneddoti e curiosità assenti nei testi di scuola. Alcuni di questi vecchi libri li ho ereditati e mi è capitato di rileggere quelle vicende legate alla Milano dell’epoca risorgimentale, un’epoca di esaltazioni, anche di eccessi, che però hanno portato all’Unità nazionale. Mi è, così, venuta voglia di raccontare quella città, quell’epoca e anche le vicende di alcune delle persone comuni che si ritrovarono a dare il loro contributo, a diventare eroi del Risorgimento un po’ per caso".

Che tipo di eroi sono i due protagonisti, Ernesto e Cesco?

"Non nascono certo con impresso il marchio dell’eroe. Sono in fondo due ‘sfigati’ che si ritrovano a fare la loro parte in un momento importante. Robert Kennedy diceva, più o meno, che tutti partecipiamo alla storia e anche il più piccolo passo può contribuire alla grande storia. Ecco volevo raccontare qualcuno di questi piccoli passi, qualcuno di questi personaggi che non erano certamente Cavour o Mazzini ma il loro contributo all’Unità d’Italia l’hanno comunque dato. E poi i grandi pensatori, come Mazzini, alla fine neppure sapevano come fare una rivoluzione… Scendevano in piazza nei giorni di Carnevale e si ritrovavano in quattro gatti a farsi massacrare dagli austriaci".

In mezzo a tanti personaggi comuni, spicca una donna che certamente ordinaria non è: Cielo. Come è nata questa protagonista così fuori dai canoni, soprattutto dell’Ottocento?

"Credo che ogni uomo abbia il suo modello femminile, magari idealizzato e irrealizzabile nella realtà. Per me questo modello è rappresentato da una donna bella e intelligente, ma che sa usare la sua intelligenza in maniera inusuale. Mi hanno sempre colpito donne che si pongono in maniera non scontata e Cielo è certamente così, non fosse altro per il fatto che costruisce con Cesco ed Ernesto un rapporto a tre che funziona, cosa quasi impossibile se pensiamo quanto sia già complicato stare insieme in due, senza annoiarsi o perdersi".

L’unione fa la forza quindi?

"Io sono cresciuto negli anni Sessanta e Settanta con il mito del gruppo, dello stare assieme per raggiungere obiettivi importanti. Nel mio libro in tre o addirittura in quattro, perché a un certo punto al trio dei protagonisti si aggiunge un altro personaggio, si possono affrontare imprese altrimenti impensabili da soli. Per esempio, attraversare l’oceano su un veliero per cercare una nuova vita… Un’impresa che faceva tremare i polsi nell’Ottocento, quando i viaggi erano ancora delle avventure vere e rischiose".

Cosa avevano gli italiani come Ernesto, Cesco e Cielo che forse manca a noi italiani di oggi?

"Non voglio sembrare un conservatore legato al passato, però è indubitabile che quegli italiani avevano dei valori che oggi mancano. Per esempio, la capacità di superare le divisioni e i particolarismi per inseguire quell’obiettivo superiore che era l’Unità nazionale. E poi il popolo – e con questa parola intendo dai più ricchi ai più poveri – era molto più avanti di chi deteneva il potere, cioè dei monarchi, dei vari signorotti e dei governanti. C’era nel popolo un senso di nazione che chi comandava non aveva, un senso di nazione che portava persone di ceti sociali diversi a mettere in gioco la propria vita. Tra in patrioti c’erano certo divisioni, magari alcuni guardavano male i mazziniani che erano troppo a sinistra per l’epoca, però nell’insieme la gente del Risorgimento si è dimostrata più avveduta dei potenti dell’epoca".

Anche il popolo non è più quello di una volta?

"Credo che questa peculiarità resista ancora oggi. Spesso le persone sono migliori di chi le comanda anche ai nostri giorni. Magari le persone sono confuse, fanno stupidate ma sono più avanti del potere. Il potere intelligente cerca di trarre vantaggi e insegnamenti da quello che gli accade attorno. Il potere più conservatore e becero si arrocca come fecero monarchi e signorotti nell’Ottocento".

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