Si aspettava di più, molto di più, dall’ultima edizione del festival di Gavoi “L’Isola delle storie” che, almeno sulla carta, era dedicato a suo padre Giorgio. È rimasta invece delusa Federica Todde, figlia dello scrittore e intellettuale (e oculista) cagliaritano, che assieme ad altri, ha fondato il festival e ne è stato presidente. Gli appuntamenti della scorsa estate dovevano servire anche a ricordare lui, scomparso il 29 luglio del 2020. Così, almeno, era stato annunciato. Invece niente. Per questo Federica ha deciso di scrivere una lettera allo scrittore Marcello Fois, guida degli eventi di Gavoi. Ci ha riflettuto mesi. Ed ecco di seguito il suo pensiero. 

Caro Marcello,

quando ho saputo che lo scorso anno il Festival di Gavoi si sarebbe tenuto, ho provveduto ad organizzare con la mia famiglia ed alcuni amici la visita al Festival, a cui mi sento legata soprattutto dai ricordi dell'esperienza di papà come primo Presidente e tra i fondatori. Ho apprezzato molto la decisione degli organizzatori di dedicargli l'evento di quest’anno, nonché le riferite intenzioni di ricordarlo con letture dai suoi libri e spazi a lui dedicati.

Con la mia partecipazione all'evento, con vero dispiacere ed anche con stupore, ho potuto constatare che nulla di quanto sopra si è verificato: nessuna lettura, nessuno spazio a lui dedicato, ma solo ed esclusivamente l'attestazione della dedica del Festival a Giorgio Todde, contenuta in qualche quotidiano locale.

La delusione è stata aggravata dall'aver notato che nel Festival di quest'anno vi sono stati diversi spazi vuoti nel succedersi degli eventi, tanto che spesso è stata inserita una premessa musicale agli incontri, con la partecipazione di musicisti emergenti del Conservatorio di Sassari.

Evidentemente cosi si voleva fare, o meglio cosi voleva il Presidente, ovvero dedicare astrattamente ma non fattivamente il Festival a Giorgio Todde.

In un’occasione, durante la presentazione di alcuni ospiti, a Sant’Antiocru, hai detto “Io sono il presidente e faccio il cavolo che voglio” e “Io sono un Presidente Dittatore”. Ebbene, queste Tue frasi mi hanno definitivamente convinto a scrivere questa lettera.

Probabilmente papà non avrebbe gradito, ma accetto il rischio, non potendomi fermare ad un processo ed analisi delle sue intenzioni; forse l’avrebbe fatto in altro modo, ma ognuno ha i propri limiti ed io non potrei fare altrimenti. Peraltro, ho imparato che non è sempre sano mostrarsi superiori e far tacere il proprio disappunto, anche se, come mio padre, sento forte il pudore per i sentimenti, che mi ha fatto riflettere e decidere per la pubblicazione quando ormai sono trascorsi parecchi mesi dal Festival.

Sono invece certa, conoscendo profondamente mio padre, che, ipoteticamente, a parti invertite, avrebbe agito mosso dall’obbligo della riconoscenza, senza provare fatica alcuna. Il solo ricordo dell’assenza di una persona che ha condiviso le fatiche

legate alla creazione e all’organizzazione delle basi su cui si regge a tutt’oggi il Festival, lo avrebbe sicuramente reso entusiasta.

La memoria è importante, le motivazioni e le idee che vi hanno portato a creare il Festival sono importanti, così come sviscerarle, con la convinzione che prima c’è l’idea ed il fine e poi ci sono le persone che, se non più presenti, devono avere la possibilità di poter continuare ad esprimersi. Lo si fa anche per la tanta gente che lo seguiva e lo apprezzava; non si possono oscurare le persone senza alcun plausibile motivo, anche ai dittatori molte volte non lo si perdona. Mi pareva oltremodo doveroso da parte Tua il riconoscimento del fatto che mio padre ha contribuito non poco a dare l'indirizzo e la linea al prosieguo della vita culturale del Festival. Il suo “attivismo senza protagonismi”, nel senso di lavorare per la diffusione della cultura nel suo significato più ampio e del pensiero, senza avere l'ambizione di proporsi ad ogni costo e con ogni mezzo all'attenzione generale, dovrebbe essere l'esempio per tutti, ed avrebbe peraltro consentito di manifestare, in occasione dell'ultimo Festival, la dovuta riconoscenza e il dovuto ricordo.

Lo scrittore nuorese, contattato, sembra spiazzato da questa polemica nei suoi confronti: «Che dire», risponde, «il padre mi avrebbe telefonato, invece lei scrive lettere ai giornali. Non la capisco. Ma so che i figli disattendono i genitori. Vedo malafede», aggiunge Fois, «e chi scrive deve accettare delle conseguenze». Di che tipo? «Vedremo», conclude. 

(Unioneonline/E.Fr.)

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