Il più ricco di tutti i tempi? Nessun “Paperone” cinese o americano. Probabilmente il più alto gradino del podio tocca a Mansa (termine che significa “re”) Musa I, sovrano dell’impero del Mali tra il 1312 e il 1337. Secondo i calcoli, il suo patrimonio, aggiornato ai giorni nostri, raggiungeva i 400 miliardi di euro.

La fortuna di Mansa Musa fu di governare su un territorio ricchissimo di risorse naturali e posto al crocevia delle vie carovaniere che collegavano l’Africa mediterranea all’Africa subsahariana. Nei mercati controllati dal re affluivano così enormi quantità di avorio, rame, pellicce di animali della savana, ma era l’oro, proveniente dagli immensi giacimenti lungo il fiume Senegal a fare di Mansa Musa il re dei re, il più potente e prestigioso sovrano dell’Africa. Quando dava udienza, secondo il viaggiatore arabo del XIV secolo Ibn Battuta, il sovrano del Mali “impugnava scettro e giavellotto d’oro e indossava vesti di seta, così come di seta era il grande parasole, sormontato da un uccello d’oro, che lo proteggeva dal sole”. All’apice della sua potenza Mansa Musa arrivò a controllare ben 400 città e il suo regno era prospero e in pace. Così nel 1324, da buon musulmano, decise di ottemperare a uno dei precetti stabiliti dalla religione islamica: il pellegrinaggio alla Mecca. Fu un evento la cui eco giunse addirittura nell’Europa dell’epoca.

Marco Aime (foto da frame video)
Marco Aime (foto da frame video)
Marco Aime (foto da frame video)

Un evento straordinario a cui l’antropologo Marco Aime ha dedicato il suo ultimo saggio "La carovana del sultano” (Einaudi, 2023, pp. 304).

Ma cosa accadde durante quel viaggio leggendario? Il sovrano del Mali volle approfittare dei 4500 chilometri del tragitto e delle tante città da attraversare per ostentare al mondo la sua ricchezza e la sua prodigalità. Si mise quindi in marcia con un corteo enorme, formato da decine di migliaia di persone. A ingrossare le fila vi era anche l’imperatrice con il suo seguito di schiavi e ancelle e molti guerrieri per proteggere il sovrano. Mansa Musa avanzava a cavallo in compagnia della sua guardia personale formata da dodicimila schiavi vestiti di tuniche di broccato e seta dello Yemen e di ottanta cammelli ciascuno dei quali portava, oltre agli abiti reali, ottanta carichi di polvere d’oro del peso ciascuno di tre quintali. A completare la parata vi erano cinquecento portatori ognuno dei quali trasportava un lingotto di circa tre chili di peso oltre a centinaia e centinaia di cavalli, cammelli, bovini e capre con masserizie e viveri. In ogni centro abitato incontrato lungo l’anno di cammino verso la Mecca Mansa Musa distribuì grandi quantità di oro in elemosine e acquisti di “souvenir” di vario genere. Inoltre, ogni venerdì, finanziò a sue spese la costruzione di una nuova moschea nel luogo in cui si trovava in quel momento. Fu una vera pioggia di polvere d’oro, anzi un acquazzone vero e proprio, che si accentuò durante le settimane di permanenza al Cairo dove Mansa Musa fece di tutto per impressionare anche il sultano del luogo. Mansa Musa aveva ottenuto il suo scopo: in tutta l’Africa del Nord e sulle vie carovaniere verso la Mecca cantori e poeti celebravano la sua potenza e la sua ricchezza. Ma non era solo la fama a spingere al viaggio Mansa Musa, come testimonia il volume di Aime.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Come scrive l’autore: «Per comprendere la portata e il successo di quel pellegrinaggio, era necessario inquadrarlo in una cornice storico-geografica, cioè il sultanato del Mali, formatosi circa un secolo prima di Mansa Musa e divenuto uno degli imperi più importanti del Medioevo africano. La sua organizzazione politica, amministrativa e commerciale e la sua dimensione religiosa mostrano tratti di modernità inaspettata. A poco a poco pero i confini del Mali si erano fatti stretti, e per comprendere in pieno la portata di quegli eventi e stato necessario allargare la visuale, per seguire le innumerevoli rotte, di terra e di mare, che lo connettevano al mondo mediterraneo, al Medio Oriente e, indirettamente, all’Asia, dando vita a una sorta di globalizzazione economica, culturale e religiosa ante litteram».

In questa ottica la narrazione del viaggio di Mansa Musa assume un valore che va al di là del solo aspetto religioso e leggendario. Marco Aime, infatti, ricostruisce quel cammino, inserendolo nel contesto storico e culturale del tempo, rivelandone gli aspetti politici e strategici oltre a quelli religiosi ed economici. Il percorso della carovana del sultano diventa così una sorta di metafora, utile a spiegare la fitta rete di legami e di scambi, che avvolgeva il Mediterraneo, unendo l'Africa all'Europa.

Si delinea così una lettura nuova e multicentrica delle vicende storiche medievali, in cui l'Africa è un'importante protagonista e non una terra isolata e misteriosa, un “continente nero” al di fuori della storia.

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