Cosa si perde...se si perde Venezia
Francesco Erbani e il racconto di una città antica e modernissimaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Qualche anno fa Charles Aznavour cantava in una sua celebre canzone "come è triste Venezia…", titolo che col tempo è diventato un po' l'emblema di una città che sembra vivere soprattutto del suo passato, delle sue glorie antiche che attirano milioni di turisti ogni anno. Un'immagine nostalgica e falsata che il giornalista Francesco Erbani ci aiuta a sfatare nel suo bel volume intitolato, non a caso, "Non è triste Venezia" (Manni, 2018, pp. 232, anche e-book).
Nel libro Erbani si muove per calli e campielli. Osserva la città e ne ricostruisce la trama intima fatta di persone, storie, ma anche di antichi palazzi, canali e del rapporto intimo con l’acqua e con la Laguna che la circonda. Riflette su un luogo assalito da un turismo incontrollato e pervasivo, dallo spopolamento, e che tuttavia resiste, rivendica la propria unicità e presenta dei tratti di modernità insospettabili. Tratti che derivano dalla sua storia e dal complesso rapporto con la natura che la circonda. Una città in un certo senso avveniristica, autentica, città più di altre città, un territorio unico e al tempo stesso esemplare che può costituire un modello di inclusione sociale e di progettazione urbana. Allora perché di Venezia oggi si parla solo per sottolineane i problemi? Lo chiediamo proprio a Francesco Erbani:
"Venezia pare interessare poco agli italiani perché la realtà della città viene sovrastata da due immagini forti e opposte tra loro. Da un lato la città romantica, del Ponte dei sospiri; dall’altra la città morente, senza futuro. Questo ci fa anche capire perché oramai la storia di Venezia trovi sempre meno spazio nei libri, sia considerata meno importante rispetto a un tempo. Peccato che così si perda quella che è la grande specificità di Venezia".
Qual è questa specificità?
"In passato venne realizzata una straordinaria armonia tra una città e l'ambiente che la circonda: la Laguna. Attenzione però che la Laguna non è solo uno specchio d'acqua, ma è un ambiente naturale di grande delicatezza. La grandezza della storia di Venezia, una grandezza che viene poco sottolineata, è stata proprio la capacità di governare questo ambiente, di mantenere stabile l'equilibrio tra la città storica e la sua Laguna. È un peccato che questa capacità sia andata perduta".
A suo parere si può recuperare l'antica capacità di governare le acque?
"Si può fare ma a patto di rovesciare le politiche che si sono realizzare a partire dall'inizio del Novecento quando venne creato il polo industriale di Porto Marghera e il baricentro veneziano venne spostato dalla città storica di Venezia alla terraferma. Questo mutamento di prospettiva ha fatto sì che la Laguna venisse considerata solo uno specchio d'acqua, un braccio di mare qualsiasi. Sono stati fatti degli interventi in Laguna per fare transitare le petroliere e le grandi navi che hanno alterato gli equilibri di questo ambiente. Il segnale più forte della rottura di questo equilibrio è l'aumento del fenomeno dell'acqua alta, che assume le caratteristiche e la frequenza che oggi conosciamo solo dalla metà degli anni Sessanta del Novecento. Da questa esperienza si poteva trarre la conclusione che si dovesse rispristinare l'ambiente lagunare così com'era, con i suoi canali ramificati e il continuo e lento movimento, afflusso e deflusso delle acque. Si è puntato invece su un'opera come il Mose, che chiude di fatto la Laguna per evitare l'acqua alta. Si tratta di un’opera gigantesca ma il dilemma rimane: funzionerà?".
Venezia di cosa avrebbe bisogno a suo parere?
"Di tornare agli antichi equilibri ma sfruttando le conoscenze e le tecnologie moderne. Non si tratta di fare operazioni nostalgiche ma di recuperare dal passato il concetto che la città e la Laguna sono la stessa cosa e che se si vuole salvare Venezia si deve preservare anche il suo ambiente circostante. Altrimenti non si va da nessuna parte".
Venezia ha un grande passato. Ma ha anche un futuro?
"Come racconto nel libro, Venezia prefigura la città de futuro. Dal punto di vista urbanistico è una città più città di altre. È una città dove lo spazio pubblico ha una sua rilevanza più che in altri centri urbani. Uno spazio pubblico che è rappresentato dal ‘campo’, che è quello che nelle altre città è la piazza ma che conserva a Venezia una dimensione più quotidiana, accessibile, dove convivono diverse generazioni, etnie. Inoltre a Venezia esistono le condizioni per prefigurare un organismo urbano del futuro: perché è una citta che non cresce e non consuma suolo, perché non spreca risorse, perché riusa tutto (dall'acqua ai materiali edili) e si è sempre ricostruita su sé stessa, utilizzando moduli costantemente replicabili e mai monotoni, perché insegna la manutenzione, perché si circola senza macchine, perché coltiva gli spazi pubblici, perché anche gli elementi più privati di un edificio hanno una dimensione pubblica, perché ha conservato per secoli (tranne che nell'ultimo) un'eccezionale relazione fra il costruito e il suo ambiente, cioè la Laguna".