“Cara Unione,

sono la nipote di una persona affetta da Sclerosi Laterale Amiotrofica. Mio zio Pietro vive a Sedilo, non ha figli, ha però la fortuna di avere fratelli e sorelle e tanti nipoti che fin dall'inizio della malattia si sono rimboccati le maniche e hanno organizzato un sistema efficientissimo di assistenza familiare. Nell'ultimo anno la situazione è degenerata: ad aprile 2020 la diagnosi e ad agosto 2021 l'intervento per la tracheotomia. Ad oggi, quasi tutti i suoi muscoli hanno smesso di funzionare: non può più muovere gli arti, deglutire, parlare, e fa molta fatica a comunicare perché l'unico braccio fino ad ora funzionante perde sempre più forza, con la conseguenza che non riesce indicarci chiaramente le lettere sul piccolo abecedario in cartone che abbiamo creato per lui.

Tuttavia, mio zio potrebbe fare molte altre cose. Tanto per cominciare, potrebbe sedersi su una sedia adeguata alla sua patologia e assumere una posizione dignitosa, invece di stare a letto tutto il giorno in posizione supina. Potrebbe poi comunicare, non con la voce né con le mani, certo, ma tramite gli occhi, grazie a un comunicatore visivo.

Il problema di Pietro, quindi, è la SLA ma non solo la SLA: la lentezza burocratica e l'inefficienza del sistema sanitario stanno rendendo le cose molto più difficili per lui e per noi tutti, familiari e operatori.

Rimpallati da un ufficio all'altro, non sappiamo più a chi rivolgerci per fare pressioni: la carrozzina non arriva, ce ne hanno portato una inadeguata per una persona affetta da SLA; stessa cosa per il comunicatore visivo. Sono venuti i tecnici, hanno fatto promesse e ancora promesse: la domanda è stata inviata, la strumentazione adeguata sarà da voi a giorni, così dicevano e così dicono tutt'ora. Eppure di giorni ne sono passati tanti, per la precisione tre mesi dal suo rientro a casa dopo l'intervento che è coinciso con la paralisi quasi totale del corpo. La malattia galoppa ma la burocrazia non è capace di starle dietro.

Io e la mia famiglia ci chiediamo per quanto ancora Pietro reggerà questa situazione: come tutti i malati è attaccato alla vita, ma ci accorgiamo che stare a letto giorno e notte sta gravemente ledendo il suo umore e le sue capacità neurologiche. L'impossibilità a comunicare lo sta isolando e non gli permette di esprimere neanche i suoi malesseri fisici, figurarsi i suoi stati d'animo.

A noi sembra lecito chiedere se sia la SLA la grande disgrazia di questa vicenda o se siano piuttosto delle istituzioni inette e inefficienti, che risultano lontanissime dai piccoli centri come il nostro. La famiglia non può bastare, vogliamo lo Stato.

Come non rendersi conto che un sistema del genere, carente e depauperato, fomenta in toto il clientelismo che distrugge le nostre comunità? In questo contesto, chi non fa riferimento al favore dell'amico impiegato in un qualsiasi ufficio pubblico è perché ha il gran privilegio di non vivere situazioni simili, di non essere perso nella trappola della burocrazia che, come diceva David Graeber, è un sistema complesso creato per estrarre ricchezza a favore dei privati. In questa vicenda, di privati pronti a mangiarci sono tanti, basti pensare al fatto che, dopo la tracheotomia, l'ospedale si rifiutava di mandare a casa mio zio perché non avevamo ancora un materasso antidecubito (che qualcuno doveva prescrivere, solo non si capiva chi) e un letto adeguato (ad oggi non ancora arrivato), né un climatizzatore per refrigerare l'ambiente: la soluzione proposta però, e non senza pressioni, era quella di spostare Pietro in una RSA "nel frattempo che...perché a noi serve il posto letto che lui occupa".

Lascio tirare a voi le somme di questa vicenda, sperando di aver suscitato in ogni lettore un poco di indignazione per quello che stiamo vivendo e che, con tutta probabilità, vivono o hanno vissuto le altre famiglie di persone affette da Sclerosi laterale Amiotrofica”.

Lettera firmata*

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