«Cara Unione,

Sono andato via dalla Sardegna nel 2012, abito in provincia di Torino, torno nel mio paese due volte l’anno: a luglio e a dicembre. E ogni volta, mese dopo mese, anno dopo anno, mi sembra di fare un viaggio non solo nello spazio ma anche nel tempo.

Vedo i miei genitori invecchiare, e questo è normale, ma l’ultima volta ho chiesto: “Dov’è Angelo?”, "e Tore? Antonello?”. Sono i miei amici d’infanzia, quelli con cui ho condiviso la giovinezza, che avevano scelto di vivere in paese, avevano un lavoro, si occupavano anche della squadra di calcio locale. Sono andati via, mi è stato detto. 

Mi è sembrato alquanto strano e allora ho fatto qualche telefonata, non ci sentiamo spesso ma il nostro legame è comunque importante. Mi hanno risposto che a malincuore sono dovuti partire perché i servizi da noi non ci sono. Finché non hai figli, famiglia, va tutto bene – a quanto pare – quando invece devi fare i conti con asili, scuole e farmacie tutto cambia.

Spopolamento si chiama, una piaga. Eppure qualche soluzione ci sarà: se i Comuni non hanno fondi non possono provvedere a creare questi servizi e allora è un cane che si morde la coda e sempre più persone abbandoneranno i borghi, diventeranno paesi fantasma.

Tutti i sardi andranno a vivere in città come Cagliari, Quartu, Sassari.

Uno scenario che mi fa paura.

Grazie».

Giovanni M.

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