«Cara Unione,

essere un sardo emigrato non è nulla di strano. Amare la propria terra lo è ancor meno stando al di là dei confini italiani. Ancora di più quando si è davvero dall'altra parte del mondo: a Pohnpei, non Pompei, che quella ancora Italia è, che io sappia.

Io dico Pohnpei, Micronesia (ora cercate voi il punticino in mezzo al Pacifico). Tra poche migliaia di persone. Uno dei 2 italiani, unico sardo. 14 mila chilometri, o quasi.

Tra poco ci saranno le Regionali e le Comunali a Cagliari.

Da quando, nel 2005, sono emigrato, ho avuto modo di dire la mia e dare il mio contributo votando tante volte. Dapprima vi era un rimborso forfettario, la gente viaggiava con Ryanair da mezza Europa e si intascava la differenza.

Poi le cose son cambiate. Rimborso. Bene. Giusto. Problema: praticamente l'intervallo temporale per arrivare e ripartire era così ampio che la gente ne abusava facendosi l'estate in Sardegna a spese statali.

Ora... io per venire a esercitare il mio diritto di voto devo prendere una serie innumerevole di voli, stare in alberghi overnight per le poche coincidenze etc. Mi verrebbe rimborsato solo fino a 1000 euro. Questa cifra non copre neppure 1/5 delle spese.

Io vorrei tornare. Per votare (ballottaggio eventuale incluso) e non per farmi le vacanze per uno o due mesi. Ma lo Stato mi dice che affinché un cittadino (io) possa usufruire del suo costituzionale diritto di voto deve rimetterci di tasca propria diverse migliaia di euro. Altri invece possono tranquillamente vedersi rimborsate le vacanze mensili estive.

È corretto?

Se si dice che il sardo emigrato ha diritto di voto e rimborso dei costi di viaggio, quest'ultimo non può avere un tetto massimo.

Grazie per l’attenzione».

G

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