P iù ci dicono che destra e sinistra sono categorie superate e più le cose del mondo, per disporsi e organizzarsi, sembrano seguirle. Perciò non è strano che Francesco – per via del nome scelto e della sua storia personale, o perché arrivava dopo l’incompiuta gotica che fu il pontificato precedente - in questo sistema binario venisse immaginato a sinistra, quasi potesse fare al capitalismo trionfante quel che Wojtyla fece al comunismo morente. Né è strano che questo sia bastato per farlo detestare a destra (da quel rimontante tradizionalismo di cui i papapiattisti, quelli che Ratzinger in realtà non si era dimesso, sono solo la frangia folk) senza schermarlo da un’onda lunga di disincanto progressista. Non è strano che fra gli innovatori ci fosse anche chi lo vedeva come un Roncalli senza Concilio, o un Luciani vissuto troppo a lungo per non sbiadire, notando sotto il suo talento comunicativo un messaggio che quanto al sacerdozio riservato ai maschi celibi, per fare solamente un esempio immediato, era mitemente quello di sempre.

Colpisce, casomai, che anche e soprattutto i perplessi adesso sentano spirare un forte vento gelido da questo lutto. Come fosse crollato un bastione di cui da tempo si osservavano solo le crepe, più che quel campo di fraternità elementare che in qualche modo proteggeva e dove echeggia un immenso “E ora?”.

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