T re giorni fa, alla fine del primo giorno di primavera, ho fatto un sogno rasserenante. Mi trovavo in quello stato che gli psicologi chiamano ipnagogico: la coscienza fluttua e compaiono immagini. Provengono dalla realtà vissuta prima di addormentarsi, quando il sonno si annuncia, ma tarda ad arrivare. È una realtà fantastica nella quale è piacevole indugiare. Per onorare, in solitudine, la giornata mondiale della poesia, che ricorre ogni 21 marzo, avevo appena terminato di leggere un saggio che esalta la bellezza e la forza della regina delle arti: un testo con molte citazioni illuminanti. Tra le altre una di Percy Shelley: «I poeti sono gli ignorati legislatori del mondo». Ed eccoli, figure ipnagogiche del mio dormiveglia, i potenti legislatori della Terra, coloro che hanno in mano il destino del Pianeta e dell’umanità. Nel sogno sono diventati tutti poeti: Biden e Putin, Xi Jinping e Netanyahu, Macron e Sunak, Scholz e Khamenei, Zelenski e von der Leyen. Non parlano di guerre, bombe, confini, aggressioni, invasioni. Non parlano affatto. Si esprimono nel linguaggio universale dei pensieri, quello proprio dei poeti, che ricorrono alle parole solo per redimerle dall’usura del tempo e dalla corruzione delle generazioni. «La poesia è un atto di pace» ha scritto Pablo Neruda. Purtroppo però la poesia è anche sogno. Che all’alba svanisce.

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