C hiunque abbia gli anni più verdi alle spalle – i titolari di Green Past, insomma – sa che per molto tempo ogni sardo di discreta fortuna aveva un destino ineluttabile: essere scelto ripetutamente come padrino per la prole di amici e conoscenti. E non era una cosa facile. Lì per lì il fatto sembrava chiudersi con l’acquisto di un orologio o di una penna e la partecipazione a un pranzo intenso. Ma in realtà c’era un lunghissimo Dopo, fatto di compleanni dei figliocci dimenticati e di telefonate di scuse, visite prenatalizie da parte di bambini annoiati che poi diventavano adolescenti imbarazzati, cioccolatini offerti e rifiutati per educazione, lunghi silenzi, domande sulla scuola. Ma ora c’è un raggio di sole: alcune diocesi siciliane hanno eliminato padrini e madrine, per cancellare tanto l’ipocrisia che questi personaggi incravattati e accaldati siano interessati a un ruolo spirituale quanto l’ostentazione di potere da parte dei boss che spadrineggiano a destra e manca.

Non potremmo sperimentarla anche in Sardegna questa cosa? Non per combattere la mafia, che siamo troppo poveri e marginali per averne molta, ma per graziare chi oggi accetta il padrinato pensando di cavarsela con un orologio. E domani scoprirà che quelle lancette scandiscono amnesie colpevoli e dialoghi stentati. Gianduiotti ossidati. Temutissime scampanellate.

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