È chiaro che se ti chiami Fifa non puoi brillare per coraggio e quindi nessuno si aspettava chissacché da questi Mondiali. Eppure è comunque desolante e deludente quest’idea di minacciare provvedimenti disciplinari ai capitani che mettono al braccio (che avessero messo, a questo punto) la fascetta arcobaleno. Certo, poi si è trovata la soluzione veltronian-democristiana di anticipare l’uso della fascetta “No discrimination”, inizialmente prevista solo per la fase più avanzata del torneo, ma già il fatto che sia accettata dal Paese organizzatore, il Qatar che punisce l’omosessualità con la galera, dimostra quanto la trovata sia innocua, puro queer washing in linea con le ciance ambigue e retoriche di Infantino l’altro giorno.

Il punto è che per quanto questa storia della fascetta censurata faccia schifo, è abbastanza chiaro che non succederà nulla. Né al Qatar, né alla Fifa e tanto meno nell’opinione pubblica o comunque nel sentimento diffuso. Questo mentre i calciatori iraniani si assumono un rischio ben più grave di un cartellino giallo, rifiutandosi di cantare l’inno per solidarietà con le donne e gli uomini, le ragazzine e i ragazzini che a casa la rivoluzione per i diritti stanno provando a farla davvero, e muoiono cantando. Noi siamo peggio che vecchi. Come dicono a Nuoro, siamo crauddi.

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