È naturale che il giornalismo si nutra di frasi fatte, piccoli slogan che da soli evocano un fenomeno (le baby gang, la casta, il generale Inverno) senza sprecare inchiostro né spazio. Però ora stiamo esagerando. Basta immaginare un archeologo che legga i nostri articoli fra sei secoli, quando quelle espressioni idiomatiche saranno sepolte dal disuso e lui potrà solo intenderle nel loro significato letterale. Che faccia farà leggendo che a Venezia introdussero un biglietto d’ingresso da 5 euro “per combattere il turismo mordi e fuggi”? Ma sul serio - si chiederà - questi scemi andavano in una delle città più belle del mondo così, per mordere qualcuno e poi fuggire, come tanti studentelli delle medie che suonano campanelli a caso e poi se la danno a gambe esilarati? Che gusto c’era ad azzannare le chiappe a un gondoliere? Perché prendere ferie e sobbarcarsi viaggio e spese solo per domandare a uno del posto scusi dov’è il Canal Grande, e appena quello leva l’indice a mezz’aria tu gnak! (E poi fuggi, ih ih). Come si viveva in una città immersa in una perenne notte dei mordi viventi? E perché un ticket da 5 euro bastava a scongiurare le masticate selvagge? Perciò diciamoglielo subito, chiariamolo sei secoli prima questo enigma: archeologo del futuro, eravamo scemi ma non così tanto. Eravamo giusto un po’ pigri nel linguaggio, ecco. Ma non è che mordevamo.

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