S e “Gli uccelli” faceva tanta paura - molto più di tante storie di mortacci, vampiri, bambole assassine, non aprite quella porta e non fate sbattere la finestra - è perché come cattivoni Hitchcock aveva scelto gli uccelli, appunto. Cioè una presenza costante della nostra esistenza, tendenzialmente innocua, a volte rallegrante, cantata in letteratura e nel peggiore dei casi (deiezioni al volo) fastidiosa.

Le notizie di studenti che aggrediscono i professori, sbarbatelli col machete e adolescenti che pestano come fabbri adulti, ricordano un po’ l’inizio di quel film di settanta anni fa (eh già, son settanta…). A rafforzare più che mai questa analogia è l’episodio di Treviso, con un imprenditore cinquantenne, Luca Gobbo, malmenato dai due minorenni che aveva rimproverato perché si divertivano a terrorizzare una signora sfiorandola mentre impennavano in bici.

“Gli uccelli” finiva con la radio che annuncia l’intervento dell’esercito. Gobbo – forse perché la fanteria con i ragazzetti può poco, forse perché è una brava persona – ha denunciato l’episodio ma ha anche deciso di andare a cena col più grande dei suoi aggressori, un diciassettenne, e con suo padre. Perché vuole capire meglio, perché vuole capirlo. Applausi. E se a tratti quel tavolo le sembrerà affollato, non si allarmi: siamo noi, la sua generazione, che origliamo.

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