U ccidere una donna con 75 coltellate non è crudeltà, non è efferatezza. È soltanto inesperienza del mestiere. A un bravo macellaio ne sarebbe bastata una soltanto bene assestata, come sanno fare i terroristi tagliagole. La Corte d’assise di Venezia ha condannato ugualmente all’ergastolo l’assassino, ma ha escluso che questi «volesse infliggere alla vittima sofferenze aggiuntive e gratuite». Così è scritto nella motivazione della sentenza. Che è stata pronunciata in nome del popolo italiano. Quindi anche in nome mio e di ognuno di voi. È proprio questo particolare, non insignificante, che mi autorizza a esprimermi in merito. Per dissociarmi. Secondo me l’inesperienza dell’assassino è una trovata sconcertante. Tranne quelli seriali tutti gli assassini sono inesperti. Infierire con una lama per 75 volte su una persona, uomo o donna, è indice di ferocia, di empietà. È la profanazione di un corpo, un tempio sacro che racchiude una vita. Trovare attenuanti è eticamente inaccettabile. Per troppo tempo abbiamo soggiaciuto all’intimidazione che le sentenze della magistratura non si devono commentare. Ora è tempo di uscire dal dogma del magistrato infallibile: che sia un’assurdità lo dimostrano i magistrati stessi con sentenze che talvolta perseguono fini diversi da quelli della giustizia. Sono esseri umani anche loro, perciò imperfetti. Non divinità intangibili.

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