M etaverso. Alcuni neologismi della rivoluzione digitale in atto sono di difficile comprensione. Dopo averne capito il significato compulsando dizionari aggiornati e le vie traverse di Internet, si entra in uno stato d’animo controverso. Illusione e sgomento si alternano e si rincorrono: l’illusione di entrare in un mondo affascinante, lo sgomento che ti assale davanti all’ignoto. Allo spirito di avventura della mente che viaggia nel cyberspazio si oppone il timore di essere sopraffatti dal diavolo che, sfidandolo, abbiamo imprigionato nella bottiglia: sentimenti e sensazioni originati da un insieme di mondi virtuali e reali interconnessi. Dai quali scaturisce un terzo mondo popolato da avatar, ossia altri noi stessi con diverse sembianze, attivi in una realtà irreale: ossimoro che bene definisce la continuità tra l’universo sensibile e quello digitale. Byung Chul Han, filosofo tedesco-coreano, nel suo libro dal titolo esplicativo “Le non cose”, descrive bene questo fenomeno. La sua conclusione è che «abbiamo smesso di vivere il reale». Il coinvolgimento, però, non è globale: riguarda soltanto le avanguardie della rivoluzione digitale, ossia coloro che credono di accostarsi all’immortalità navigando in una vita senza tempo. Invece, anche alienandoci nel metaverso, moriamo lo stesso. Almeno per ora.

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