C hissà quali segreti nascondono gli armadi di un palazzo di giustizia: ora più che mai è lecito domandarselo perché adesso sappiamo con certezza ciò che sospettavamo: il sistema giudiziario italiano è malato. Lotte intestine tra toghe, colpi proibiti per fare carriera, sodalizi e collusioni con partiti, inchieste e sentenze pilotate. E tanto altro ancora, che Luca Palamara, magistrato reietto, ha rivelato in un’intervista confessione. Ma nessuno avrebbe mai potuto immaginare ciò che nascondevano gli armadi di un ufficio del tribunale di Catania. Non dossier scottanti, non carte esplosive disinnescate per salvare parenti o amici, non denunce insabbiate, non prove di reati ignorate con dolo. In quegli armadi chiusi a chiave c’erano molte decine di bottiglie da mezzo litro, che un giudice civile custodiva gelosamente. Il colore giallastro del contenuto poteva far pensare a massicce scorte di whisky. Ma quel magistrato non è un alcolista; anzi, è persona sobria e misurata. Fatto l’esame chimico, emerge una verità sconcertante: quel liquido è urina. Il giudice, per paura di essere contagiato frequentando i bagni comuni ha fatto la pipì nelle bottigliette. Una sindrome che gli psichiatri chiamano misofobia. Perciò, non avendo commesso alcun reato, va assolto. E gli va conferita una minzione d’onore.

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